AutopromotecNews n.5 - Ottobre 2015

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L’auto europea sotto la lente di ingrandimento di Nicola Giardino Editoriale 4 N° 5 - Ottobre 2015 Connettività e sviluppi tecnologici: tendenze e sfide nelle attrezzature e nei servizi per l’autoriparazione di Massimo Brunamonti L’esperto inefficace di Franco Marzo Iva e ritenute: cambiano le sanzioni per il mancato versamento di Nicola Amoruso Il cliente cambia, anche il post-vendita si trasforma di Marco Di Pietro Ammortizzatori sociali anche per le piccole imprese Abolizione dell’IMU sui macchinari imbullonati: forse è “la volta buona” di Matteo Prioschi di Saverio Fossati Il futuro della distribuzione ricambi di Alberto Armaroli La sfera digitale prende sempre più spazio nella nostra vita I pericoli dell’obesità e del microsleep di Marco Marlìa di Aldo Ferrara 9 18 25 11 20 28 6 15 23 Nuove tecnologie, nuove mentalità di Renzo Servadei Il progetto

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Trimestrale di informazione e cultura del postvendita automotive, realizzato da Autopromotec: la biennale internazionale delle attrezzature e dell'aftermarket automobilistico.

Transcript of AutopromotecNews n.5 - Ottobre 2015

L’auto europea sotto la lente di ingrandimento

di Nicola Giardino

Editoriale 4

N° 5 - Ottobre 2015

Connettività e sviluppi tecnologici: tendenze e sfide nelle attrezzature e nei servizi per l’autoriparazione

di Massimo Brunamonti

L’esperto inefficace

di Franco Marzo

Iva e ritenute: cambiano le sanzioni per il mancato versamento

di Nicola Amoruso

Il cliente cambia, anche il post-vendita si trasforma

di Marco Di Pietro

Ammortizzatori sociali anche per le piccole imprese

Abolizione dell’IMU sui macchinari imbullonati: forse è “la volta buona”

di Matteo Prioschi

di Saverio Fossati

Il futuro della distribuzione ricambi

di Alberto Armaroli

La sfera digitale prende sempre più spazio nella nostra vita

I pericoli dell’obesità e del microsleep

di Marco Marlìa

di Aldo Ferrara

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Nuove tecnologie, nuove mentalità

di Renzo Servadei

Il progetto

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L’auto europea sotto

la lente di ingrandimento

Nicola GiardinoDirettore Editoriale

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Un nuovo studio individua nella globalità la vera forza dell’industria automotive. È La filiera, infatti, l’elemento chiave nell’attivazione della domanda e dell’occupazione.

Abbiamo sempre e dovunque sostenuto la centralità dell’Automotive nell’economia mondiale e l’inscindibilità del coacervo di attività piccole e grandi che ne fanno parte. Non possiamo pertanto che accogliere con grande interesse lo studio “Il settore Automotive nei principali paesi europei”, una ricerca promossa dalla Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato che, ribadendo l’estensione della catena del valore dell’Automotive, approfondisce l’analisi in modo da fornire un quadro completo e aggiornato. Curata da Unioncamere e Prometeia, la pubblicazione è stata presentata a Palazzo Madama il 28 luglio scorso dal presidente della Commissione Massimo Mucchetti. Gran parte dei dati in seguito citati sono stati raccolti dallo studio. L’Automotive viene troppo spesso erroneamente circoscritta alla produzione automobilistica o alla distribuzione, che sono solo due delle sue componenti. Più correttamente l’Automotive è l’insieme dell’attività di ricerca, progettazione, componentistica, produzione, distribuzione e servizi finanziari e di riparazione (e manutenzione). Un comparto che vale secondo l’Oica (Organizzazione internazionale dei costruttori auto) circa 1.900 miliardi di euro di fatturato annuo a livello mondiale. In Italia genera il 4,6% del valore aggiunto interno, ovvero 65 miliardi di euro. Per fare chiarezza va

EDITORIALE

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ricordato che solo la distribuzione dipende direttamente dalla domanda aggregata del paese. Le attività manifatturiere della filiera automobilistica (produzione e componenti) sono invece slegate dall’andamento dei consumi interni e possono trovare sbocchi anche nell’esportazione, in quanto dipendenti maggiormente dall’iniziativa imprenditoriale e dalla politica industriale nazionale. In altre parole, se il prodotto delle attività manifatturiere (auto o componenti) è competitivo, l’Automotive nazionale può crescere comunque, esportando nei paesi dove la domanda non soffre o si espande. Tra il 2005 e il 2013 la domanda globale è aumentata, anche se al suo interno la crescita è limitata ai paesi emergenti e si riduce nelle principali economie europee. La localizzazione delle fabbriche non dipende però dalla dinamicità della domanda globale perché sulla produzione pesano anche fattori come il costo della manodopera, la qualità della logistica, le politiche doganali e le incentivazioni governative. Nel nostro paese, nonostante la produzione di auto sia andata calando dal 1990 (solo da qualche mese è in ripresa), l’industria dei componenti grazie all’esportazione ha sofferto meno perché è riuscita a diversificare la clientela affrancandosi dal monopolio del costruttore nazionale e rivolgendosi alle aziende di altri paesi produttori, Germania in primis. Le imprese della componentistica mostrano pertanto i migliori risultati economici della filiera nazionale in virtù della capacità di presidiare i mercati internazionali. Il ruolo della componentistica è fondamentale nel processo produttivo dell’auto se si pensa che, secondo Toyota, un’auto è formata da un insieme di 30 mila parti di cui circa tre quarti sono di fornitura esterna (materiali, manifattura e assemblaggi compresi). A dispetto di chi la giudica destinata al declino nei paesi dove la domanda interna è più matura, la filiera Automotive ancor oggi contribuisce direttamente o indirettamente al Pil nazionale per una quota che varia dall’1,7% della Francia al 9,2% della Germania. In Italia la produzione (ovvero solo auto e componenti senza distribuzione e servizi) genera circa 28 miliardi di valore aggiunto e impiega oltre 500 mila addetti, contribuendo alla formazione del 2% del Pil. È rimarchevole constatare l’elevata capacità di attivazione di domanda e di occupazione della filiera. Nei paesi produttori ogni euro di valore aggiunto nella fase produttiva sostiene tra 1,6 e 2,62 euro di ulteriore valore aggiunto in altri settori economici (in Italia l’incremento è del 2,2). Ogni occupato nella produzione di auto, inoltre, sostiene in media altri 2 posti di lavoro in settori differenti. Sul fronte dei costi lo studio infine fornisce alcune informazioni interessanti. Anche se a livello totale nel vecchio continente nell’Automotive non si rilevano differenze sostanziali, il costo del lavoro nel nostro paese si colloca in una posizione intermedia tra quello, inferiore, della Francia e quello, superiore, della Germania. Per la sola attività di produzione dei veicoli è però il più basso in assoluto a livello fiscale benché in Italia la tassazione sul lavoro sia più alta che altrove (seguita dalla Francia), il reddito d’impresa del comparto in Francia sconta tasse più alte che da noi. L’Automotive, alla luce di tutto ciò, continua pertanto a rivestire il ruolo di settore chiave per i principali paesi europei soprattutto in termini di relazioni con il resto dell’economia.

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Nuove tecnologie, nuove mentalità

Renzo ServadeiDirettore Responsabile

Il futuro dell’automotive sarà fatto di integrazione e progettualità condivisa. Ecco perché saranno le relazioni in atto fra i tanti soggetti dell’aftermarket a definire gli scenari di domani

Capita ogni tanto di rivedere in tv i film di “007” di qualche anno fa, in cui, come da tradizione, le auto sono protagoniste di numerose scene spettacolari. Al di là delle armi fantasiose che il bolide di turno impiega, saltano agli occhi i vari strumenti e sistemi futuribili, che allora erano pura fantascienza, e che già oggi ci sembrano archeologia industriale. Tanto, infatti, si è evoluta negli ultimi anni la tecnologia dei veicoli, e non pensiamo solo all’auto che si guida da sola, di cui già circolano numerosi prototipi, ma alle diverse e avanzatissime soluzioni che hanno completamente trasfigurato quella che era la nostra immagine dell’automobile.Uno dei temi che maggiormente caratterizza il presente dell’industria automotive si può individuare nella connettività, che si sviluppa in due direzioni: da una parte cioè la connettività relativa all’utente, che nel veicolo trova un raccordo fra sé stesso e il resto del mondo, su vari livelli e con l’interazione di vari device e dispositivi di assistenza alla guida. D’altra parte, la connettività interfaccia anche l’automobile stessa con l’officina, laddove i nuovi modelli sono in grado di indicare gli interventi di manutenzione che necessitano grazie a sistemi di connessione remota con l’assistenza.Con queste tematiche e con queste tecnologie le reti di riparazione e conseguentemente anche le reti di servizi si dovranno sempre più confrontare: servirà, quindi una maggiore e più specifica

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IL PROGETTO

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attività di formazione professionale, ma anche un cambio di mentalità. Protagonisti dei nuovi servizi di autoriparazione dovranno necessariamente essere, con un’adeguata preparazione, i cosiddetti “nativi digitali”, che vivono le nuove tecnologie con entusiasmo e confidenza - e non con quel senso di affanno o sospetto che l’avvento del digitale ha suscitato nelle generazioni precedenti. A loro sarà importante far capire che il settore dell’aftermarket può offrire soddisfazioni professionali ed economiche al pari del settore dell’auto nuova.Sarà importante anche comprendere che da anni è in atto una trasformazione nella percezione dell’auto: non più status symbol, essa è oggi soprattutto uno strumento per soddisfare un’esigenza, quella della mobilità. Ma, per la mobilità, la proprietà del mezzo non è strettamente necessaria: ecco allora il proliferare nuove forme di fruizione, come il car sharing, il noleggio, e più in generale il fenomeno della social mobility. Per queste nuove realtà, così come per l’utenza tradizionale, la qualità del servizio diventa un obiettivo centrale, ma sempre più complesso, e richiederà la cooperazione di più produttori, fornitori di attrezzature, di software e vari tipi di servizi. Quello che possiamo intravedere è un futuro fatto di integrazione e progettualità condivisa. Ed è per questo motivo che una manifestazione come Autopromotec vede sempre più centrali non solo gli scambi fra produttori e distributori, ma anche iniziative di co-marketing fra produttori e momenti di confronto e circolazione di idee, per creare relazioni che saranno alla base della fornitura dei servizi automotive e aftermarket del futuro. Investire sulle relazioni significa soprattutto ricordare che per quanto sofisticato sia uno strumento, è sempre l’uomo, sia esso fornitore o cliente, il centro di interesse di tutta la tecnologia che lo circonda.

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AUTOATTREzzATURE

Connettività e sviluppi tecnologici:

tendenze e sfide nelle attrezzature

e nei servizi per l’autoriparazione

Massimo BrunamontiAICA (Associazione Italiana Costruttori Autoattrezzature)EGEA (European Garage Equipment Association)

Il mondo dell’autoriparazione sta vivendo un fase di importanti cambiamenti di varia natura che già adesso cominciano a causare profonde modifiche agli scenari in cui si trovano ad avere a che fare sia i costruttori di autoattrezzature che gli autoriparatori.Iniziando dal mondo dei costruttori di auto, si rileva un’importante tendenza ad acquisizioni e fusioni orientate alla costituzione di aziende e gruppi industriali più potenti ed influenti, aspiranti a perseguire posizioni di prevalenza anche nell’aftermarket.Anche le nuove tecnologie automobilistiche stanno facendo passi da gigante: le nuove motorizzazioni (elettriche, ibride, a fuel cell, etc.) vanno nella direzione di cambiare radicalmente lo scenario; sintomatico il fatto anche nella terminologia: il caro vecchio “motore” è ormai diventato una “power unit”. Carburanti

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Il mondo dell’auto è in rapida trasformazione, e gli operatori dell’aftermarket e delle attrezzature dovranno saper cogliere nuove opportunità. Legate alle innovazioni tecnologiche, ma anche ai mutamenti sociali, connettività, sostenibilità.

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alternativi, nuovi materiali, nuove tecniche e pratiche di diagnosi non fanno altro che confermare ciò. Per non parlare poi di alcuni fenomeni recenti o in procinto di scoppiare adesso quali la “connected car” o la mobilità intelligente o addirittura l’auto senza guidatore; tutto ciò costituirà una vera e propria rivoluzione, con indubbie importanti conseguenze anche per l’aftermarket, sia per la ricambistica che per l’autoriparazione.Da non trascurare poi la diffusione dell’utilizzo di internet come strumento di shopping in tutti gli aspetti della vita, mobilità inclusa, che sta profondamente cambiando il mondo della vendita dell’auto e non solo. Il consumatore sempre di più usa internet oltre che per informarsi anche per comprare e questo sta profondamente cambiando i modelli di business. Le tradizionali concessionarie e autosaloni, nonché i fornitori di ricambi e accessori, da unico canale commerciale quali erano oggi stanno diventando un’alternativa, ormai solo opzionale per una categoria sempre più vasta di consumatori.Un ruolo importantissimo lo ha giocato il cambiamento delle abitudini del tessuto sociale. Le generazioni postbelliche erano tradizionalmente portate a considerare l’auto, così come ogni altro bene materiale, come un oggetto il cui possesso asseriva benessere e status sociale. Non è più proprio così almeno per l’auto: la “generazione Y”, come è denominata quella nata verso la fine del millennio, è invece cresciuta in un mondo sempre più “liquido” e virtuale, dove la priorità non va alla proprietà ma alla fruibilità del bene. Come fanno ben notare qualificati studi sociali, adesso il concetto si è radicalmente spostato a quello dell’auto scelta in base alla mera utilità, con conseguenti valutazioni sulla sua convenienza o non convenienza economica. Si vanno facendo strada modelli di uso basati su strumenti di condivisione piuttosto che di possesso e un maggior utilizzo di sistemi come il car sharing. Emblematici sono i successi di iniziative tipo Car2Go e Enjoy, per non parlare di condivisioni di auto e viaggi completamente gestite via app tipo Blablacar. Interessante anche il rilievo secondo cui l’auto sia considerata un limite al “rimanere connessi”, tale da far per questo preferire, entro certi limiti, i mezzi pubblici. Infine, una sempre maggiore attenzione verso la sfera ambientale sta causando istanze impensabili per le generazioni precedenti: mai prima si sarebbe pensato che i parametri di produzione di CO2 dei veicoli avrebbero potuto generare decisioni di acquisto al punto tale da rendere così dirompenti fenomeni come il Diesel-gate.È evidente che da questo nuovo modo di pensare l’acquisto e il possesso dell’auto deriva una notevole differenza dell’approccio ai servizi di post-vendita: i clienti dell’autofficina non sono più solo i proprietari ma anche, e sempre di più, i gestori e questo significa inevitabilmente differenti modelli di erogazione di servizi. Tutti questi cambiamenti sono già ampiamente in corso e stanno avendo conseguenze significative nel mondo dell’aftermarket automobilistico, sia nell’autofficina sia nelle attrezzature per l’autoriparazione. Venendo alle attrezzature, la prima considerazione è che gli sviluppi tecnologici hanno tutti la conseguenza comune del proliferare della caratterizzazione e differenziazione dei modelli di auto offerti al mercato, con conseguente generazione di una mole imponente, ed in crescita costante, dei dati tecnici relativi al singolo veicolo. Il panorama in tal senso impressiona al punto che una delle tendenze più evidenti nelle apparecchiature per la riparazione è quella di essere a loro volta connesse. Non più banche dati locali ma strumentazione connessa ad internet da cui scaricare l’informazione tecnica necessaria.

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Le attrezzature diventeranno inevitabilmente sempre più specifiche: non più un unico strumento buono per tutto (se mai c’è stato), ma un insieme di strumenti dedicati a funzioni specifiche. Non più un’area di lavoro generica, ma aree di lavoro differenti con strumentazione dedicata utilizzata da personale specializzato. Le nuove power unit, i carburanti alternativi e i nuovi materiali hanno bisogno di tutta una serie di strumenti specifici, in parte evoluzione di quelli esistenti ma anche e soprattutto di tipo totalmente nuovo. L’uso dei materiali compositi in carrozzeria sta generando la necessità di nuova strumentazione per la manipolazione dei medesimi, così come le parti elettriche delle power unit ibride richiedono strumenti elettrotecnici mai visti prima in autofficina.La necessità di istruzione specifica per il personale è una diretta conseguenza del progresso, non solo a causa della conoscenza tecnica ma anche per considerazioni legate alla sicurezza dell’ambiente di lavoro. Una power unit ibrida con inverter da 400 V richiede le necessarie protezioni e procedure per lavorare in sicurezza. Lo sanno bene i team di Formula 1 che ad ogni pit stop devono assicurare la messa a terra del veicolo prima che i tecnici possano solo toccarlo. Una fuel cell si porta dietro tutte le conseguenze della presenza di idrogeno nell’ambiente di lavoro.Cambiamento: è questa dunque la parola d’ordine di oggi del nostro settore. Cambiamento vuol dire sfida e rischio, ma vuole anche dire spazio per coloro che sapranno cogliere tali opportunità e farne tesoro.

Tecnologia & Qualitàla Strada dell’Innovazione

Associazione Italiana Costruttori AutoattrezzatureItalian Garage Equipment Manufacturers Association

www.asso-aica.it

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Il futuro della distribuzione ricambi

Alberto Armaroli

L’attenzione del grande pubblico si concentra sulle novità di prodotto, sulle auto a guida automatica e sui sistemi di infotainement, ma nel mondo dell’automotive si stanno verificando grandi cambiamenti, meno appariscenti, nel modo in cui i clienti gestiscono la manutenzione e le riparazioni delle loro auto, acquistano ricambi e accedono al service. Questi cambiamenti non sono solo conseguenza della evoluzione delle preferenze dei clienti nelle aree della connettività e dei modi di acquisto. Sono anche il segno di nuovi modelli di business sviluppati dalle Case, dai produttori di ricambi e dai ricambisti per assicurarsi e aumentare i futuri fatturati conquistando nuovi clienti.Il recente studio “The Future of Parts and Service Retailing in the Automotive Aftermarket” della società di consulenza Frost & Sullivan identifica chiaramente alcune tendenze importanti. Abbiamo sintetizzato alcuni delle evoluzioni che, secondo lo studio, modificheranno significativamente il mercato dell’aftersale nei prossimi 10 anni.

La crescita dell’e-commerce di ricambi. Si prevede che la vendita online B2C, cioè Business to Consumer, di ricambi e accessori raggiungerà entro il 2020 un volume d’affari di 20 miliardi in Europa e Nord America, che rappresenterà una percentuale di circa il 10% sul fatturato totale del settore. I mercati del mondo occidentale saranno i più significativi in termini di volume mentre i mercati emergenti, come la Cina e il Brasile, vedranno una crescita esplosiva dell’acquisto online di ricambi.

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Uno studio Frost & Sullivan stimola alcune riflessioni sulle possibili modifiche del ricco mercato dei ricambi. Lo scenario dell’aftersale fra 10 anni potrebbe essere molto diverso da quello odierno.

POSTvENDITA

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La vendita diretta diventerà la regola per i fornitori e gli OEM. Il negozio online di Bosch sul sito cinese di e-commerce TMall ha fatturato, secondo stime attendibili, 9 milioni nel primo anno di attività, dando inizio a una specie di corsa all’oro da parte di molte Case e fornitori aftermarket che stanno aprendo nuovi negozi virtuali. Prevedibilmente questo trend si svilupperà principalmente nei mercati emergenti dove l’aftermarket è meno strutturato e le aziende hanno maggiore flessibilità nel reinventare il loro sistema distributivo, particolarmente attraverso i canali digitali. Ma non possiamo pensare che i nostri mercati non verranno toccati. Aziende come la Goodyear si stanno rivolgendo direttamente ai clienti, aprendo portali in cui gli utenti finali possono acquistare direttamente dal produttore a prezzi scontati, concedendo al gommista o all’officina il modesto guadagno del montaggio. Sarà interessante vedere come i fornitori e gli OEM riusciranno a navigare nelle acque difficili dei canali di vendita già consolidati dei mercati maturi.

Le vendite B2B saranno il campo di battaglia tra operatori online e distribuzione tradizionale. Gli operatori online hanno avuto inizialmente un buon successo raggiungendo i clienti interessati a ricambi per la manutenzione, come olio e filtri, e pneumatici. Tuttavia la cartina di tornasole del successo a lungo termine di questi operatori si avrà dalla vendita a clienti business, come officine e flotte. Le strategie che verranno implementate per il canale B2B rivoluzioneranno, almeno in parte, il sistema distributivo dell’aftermarket. Concorrenti come Autozone si stanno già preparando alla lotta, e altri sono pronti a seguire il loro esempio.

Integrare il Business To Business e il Business To Customer. Il banco di prova definitivo per un cambio radicale nell’aftermarket sarà l’integrazione fra due modelli di business, B2B e B2C, e anche la loro integrazione nell'ambiente digitale. Fino ad oggi le vendite online sono state destinate al do it yuourself (DIY) e agli specialisti, ovvero clienti che si occupano personalmente della piccola manutenzione delle loro auto o che installano accessori. Ma la stragrande maggioranza degli automobilisti si rivolge alle officine per la manutenzione o ai negozianti per gli accessori. Lo scenario potrebbe cambiare con lo sviluppo di aggregatori di servizi, come Expedia o TripAdvisor lo sono per il turismo, in grado di mettere in contatto digitalmente i clienti con le officine sulla base della localizzazione, degli interventi richiesti e dei preventivi. Tali siti web potranno agire come mediatori non solo tra i clienti e le officine ma anche tra i fornitori di ricambi e le officine, creando un proprio sistema distributivo chiuso e funzionale.

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TENDENzE

Il cliente cambia,

anche il post-vendita si trasforma

Marco Di PietroAmministratore delegato di Axed Academy SRL

Il 2015 è l’anno del rilancio del mercato dell’automobile in Italia. Dopo anni di flessione, che hanno portato il nostro Paese a scendere dal secondo posto nella graduatoria delle nazioni europee automobilisticamente più rilevanti (negli anni d’oro eravamo riusciti a piazzarci alle spalle della Germania, ora anche Gran Bretagna e Francia ci sono davanti) alla quarta posizione, quest’anno le immatricolazioni sono cresciute, nei primi 9 mesi, del 16%.

Un risultato molto positivo, anche se ottenuto, vale la pena di sottolinearlo ancora una volta, rispetto a un 2014 assai magro. Da gennaio a settembre le nuove targhe sono state 1.220.000, quasi 170.000 in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Il raggiungimento del milione e mezzo di nuove auto nell’anno intero è un traguardo che verrà ampiamente superato. Ma lontano anni luce dal “mitico” 2007, quando si sfiorarono i 2,5 milioni. Un milione di targhe mancheranno dunque all’appello. E non ritorneranno mai, perché le previsioni degli analisti parlano di un consolidamento del mercato Italia attorno agli 1,7 milioni di unità per il prossimo triennio.

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L’analisi approfondita sui canali di vendita fa emergere in modo chiaro che il comparto business è in forte sviluppo: le reti di vendita e di assistenza non possono più non tenerne conto.

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Una torta più piccolaChe succederà, quindi alla rete distributiva e assistenziale nazionale e, a cascata, alla sottorete di vendita e post-vendita? La torta si è ridotta drasticamente, ma anche i commensali sono diminuiti (dal 2007 a oggi si è registrato un -40% nel numero degli imprenditori coinvolti nel business della distribuzione automobilistica, un -30% dei mandati di rappresentanza delle reti di vendita e un analogo calo percentuale dei punti vendita ufficiali). La risposta la troviamo nella trasformazione che il mercato ha subito contemporaneamente alla diminuzione dei volumi.

Oggi il cliente che le reti di vendita e di assistenza si trovano a gestire è differente: la quota dei privati, che negli anni d’oro del mercato, anche grazie alle campagne statali di incentivazione alla rottamazione di cui beneficiava soprattutto la clientela retail, costituiva quasi l’80% delle immatricolazioni, è ora scesa a un livello molto vicino al 60%. Spannometricamente, dunque, se otto anni fa si poteva contare su quasi due milioni di clienti privati, oggi sono circa la metà. Mentre la quota delle immatricolazioni alle aziende ormai sfiora il 40%.

C’è canale e canaleAttenzione, però: non tutte le intestazioni a partite Iva sono considerabili auto aziendali a tutti gli effetti. Per leggere correttamente il mercato del 2015, occorre fare un’analisi più dettagliata dei numeri “veri”. Ci può venire in aiuto Dataforce, società tedesca di analisi di mercato che elabora informazioni sull’industria automobilistica ad alto contenuto qualitativo sui vari canali di vendita presenti sul mercato. Dataforce è in grado di segmentare il mercato risalendo alle quote reali delle immatricolazioni aziendali, separando (e poi ulteriormente suddividendo in maggiore dettaglio analitico) le “flotte vere” dai “canali speciali”. Per “flotte vere”, Dataforce intende la somma delle immatricolazioni alle “società” che acquistano direttamente il proprio parco auto (anche attraverso la formula del leasing finanziario), degli “utilizzatori professionali e gli enti” (taxi, noleggi con conducente, autoscuole, enti pubblici), e delle “società di noleggio a lungo termine”. Queste ultime, pur non essendo utilizzatori finali, immatricolano auto sulla base di una richiesta di un cliente. La somma di questi canali dà origine alle “flotte vere”, cioè le vendite realmente aziendali.

Tutto il resto delle intestazioni a partite Iva costituiscono i “canali speciali”: “rent-a-car”, auto-immatricolazioni dei “concessionari” (cioè demo, sostitutive e km zero), “importatori” (le auto targate dalle filiali italiane dei costruttori esteri, per i fabbisogni aziendali, per le presentazioni di nuovo prodotto, per i test drive della stampa e altro), “costruttori” (le vetture immatricolate dai fabbricanti nazionali, ovvero quasi totalmente Fca).

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Cresce il noleggio a lungo termine Cosa ci dicono i numeri “spacchettati” del 2015? Che la crescita dei “privati” è superiore alla media del mercato (+18% rispetto al +16%), ma che il balzo in avanti delle “flotte vere” è leggermente più cospicuo (+19%), mentre i cosiddetti “canali speciali” hanno avuto un incremento che è inferiore alla metà del mercato nel suo complesso (+7%).

Entriamo perciò nel dettaglio dei canali specifici: tra le “flotte vere”, è il noleggio a lungo termine a crescere di più, in particolare sono aumentate del 30% le intestazioni dei noleggiatori più strutturati (cioè gli operatori più grandi), quasi tutti controllati dalle Banche. Molto meno vigoroso è invece l’incremento delle società di noleggio a lungo termine “captive”, cioè possedute dalle Case automobilistiche (+5%). Una quota maggiore se la sono assicurata anche i long rental di piccole dimensioni: +56%, anche se la loro quota di mercato rimane marginale. La sfida tra “captive” e noleggiatori di emanazione bancaria si è risolta dunque a favore di questi ultimi: Ald Automotive, Arval, Athlon, GE Capital, LeasePlan, controllate da istituti di credito, con l’aggiunta di Car Server e Locauto, di proprietà di investitori privati, hanno immatricolato da gennaio a settembre 90.000 vetture; mentre le “captive” Alphabet (BMW), Leasys (FCA), Mercedes-Benz, PSA e Volkswagen hanno raggiunto le 60.000 unità. Negli scorsi anni il mercato del nlt era suddiviso equamente a metà.

Questo è un dato molto interessante: il cliente aziendale che sceglie il noleggio a lungo termine si sta spostando progressivamente verso le organizzazioni commerciali non controllate dalle case costruttrici, ovvero con un’intermediazione che, di solito, taglia fuori le reti dei concessionari. Questo fenomeno ha una ricaduta immediata sia sui volumi delle vendite sia, soprattutto, sul fatturato dei dealer nel post-vendita. Perché molte società di noleggio optano per l’assistenza generica (per una questione di contenimento dei costi) a detrimento di quella fornita dalle officine dei circuiti ufficiali.

Al noleggio non si dice noQuale può essere la risposta delle reti a marchio automobilistico? Soltanto una: non si può rinunciare a priori a una fetta del mercato dell’autoriparazione che sta assumendo sempre maggiore importanza; nonostante i noleggiatori paghino meno e impongano interventi d’officina più rapidi. Stringere accordi di partnership con i noleggiatori è inevitabile: sono un player che non può essere disdegnato; forse porta marginalità scarsa, ma serve a fare volumi, nei ricambi e nella manodopera. Analogo discorso è opportuno nella vendita: i concessionari devono rispondere con maggiore proattività alla richiesta dei clienti business: se essi vanno verso il noleggio, i concessionari devono accontentarli. Il noleggio a lungo termine non può più essere considerato una formula d’acquisizione riservata alle grandi aziende: anche le Pmi, gli artigiani e i liberi professionisti possono trovare conveniente questo sistema. D’accordo,

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la marginalità per il dealer sul “ferro” è più bassa, ma il noleggio di lungo periodo può essere un formidabile sistema di fidelizzazione del cliente: difficilmente chi sposa questa formula poi torna indietro alla proprietà. Per il concessionario, insomma, potrebbe rivelarsi piuttosto semplice inserire il cliente di nlt nel proprio sistema di crm. I “detrattori” del noleggio sostengono che questo sistema spersonalizza il rapporto con l’assistenza. Non è affatto vero: il cliente finale può scegliere l’officina dove recarsi per la manutenzione ordinaria. E punta sull’organizzazione che lo fa sentire a proprio agio, in termini di qualità del servizio, puntualità di intervento, disponibilità di strumenti che riducono tempi d’attesa e limitazioni della mobilità business. Per esempio, il replacement, cioè l’auto sostitutiva. Prevista o non prevista dal contratto di locazione, l’auto sostitutiva è un elemento qualificante per la rete assistenziale (e fonte di marginalità per il dealer); così come la flessibilità d’orario delle officine, la disponibilità di un servizio di pick-up per il cliente, le corsie preferenziali in accettazione per il cliente business.

Insomma: l’organizzazione del post-vendita va ripensata profondamente in chiave cliente business, che è quello che assicura il maggiore sviluppo nei prossimi anni. Senza trascurare che il cliente business ha una capacità di spesa maggiore rispetto al cliente privato e, soprattutto, ha un tasso di sostituzione dell’auto da due a tre volte più rapido rispetto al privato (e sviluppa percorrenze maggiori). Creare una divisione vendite aziendali è l’arma vincente per il dealer che vuole affrontare il mercato dei prossimi anni con meno incognite di sopravvivenza.

Anche il noleggio a breve termine offre opportunità di business importanti: le officine che offrono questo servizio in rappresentanza di un operatore di rent-a-car assicurano margini di profitto importanti. I dealer più strutturati negli scorsi anni hanno addirittura creato la propria società di noleggio interna: un business che alimenta pure lo stock dell’usato “fresco”.

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L'esperto inefficace

Franco Marzosmart management

Potrà mai essere inefficace un esperto? E se lo è, cosa sarà mai un inesperto? Una riflessione sull’argomento può essere utile. Nassim Nicholas Taleb, saggista esperto di matematica finanziaria autore de “il Cigno Nero” (ed. Il Saggiatore 2007) si diletta nell’inseguire paradossi. Il titolo del suo libro è emblematico, i cigni sono “solo bianchi” finché non scopriamo in qualche paese del mondo che sono anche neri. Nel saggio sull’improbabilità e sulla fallacia di alcuni esperti, l’Autore distingue due categorie di esperti: quelli in materie statiche e quelli in materie dinamiche. I primi avrebbero quasi sempre ragione i secondi quasi sempre torto. Secondo Taleb farebbero parte degli esperti statici intenditori di bestiame, astronomi, agronomi, piloti collaudatori, ragionieri. Psicologi, economisti, giudici, ingegneri finanziari, politici sarebbero invece gli esperti più esposti all’errore. La differenza la fa il movimento. Tutto ciò che si muove è difficilmente prevedibile. Il movimento inteso però non in senso fisico ma come evoluzione del costume, del pensiero, delle culture, delle religioni, dei gusti, della finanza, delle tecnologie. Tutto ciò che è connesso con l’umano. In un mondo in movimento tentare di prevedere cosa succederà è tempo perso, meglio concentrarsi su ciò che succede o cercare di far succedere le cose. Anni fa, per una multinazionale di successo, cercavo una frase ad effetto per terminare un video

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“Anni fa scoprii qualcuno che assumeva venditori che non fossero esperti di automobili, tra questi molte donne. Paradossalmente erano più bravi degli esperti. Come può succedere? L’esperto è innamorato dell’automobile, il suo sguardo è concentrato molto sull’oggetto e poco sul cliente.”

MENAGEMENT

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motivazionale. Volevo esortarli a “continuare così” senza mai dare per scontato il successo. Mi venne in mente: “perché il successo è un participio passato, il futuro è far succedere” uno slogan che ho adottato come mio mantra professionale. Troppo spesso ci concentriamo su ciò che ha funzionato in passato senza considerare che in un mondo che cambia, difficilmente si ripresentano le stesse condizioni. Dubito sempre degli esperti del successo. Gli esperti tendono a farsi influenzare dal passato (anche esperto è un participio passato, di esperire), sono portati a riprodurre vecchi schemi, vecchie ricette, vecchi modelli. A proposito del mondo automobilistico anni fa scoprii qualcuno che assumeva venditori che non fossero esperti di automobili, tra questi molte donne. Paradossalmente erano più bravi degli esperti. Come può succedere? Una possibile spiegazione è che l’esperto è innamorato dell’automobile, del suo motore, delle sue prestazioni, della sua elettronica. Il suo sguardo è concentrato molto sull’oggetto e poco sul cliente. Negli anni i sentimenti sull’auto sono profondamente cambiati. Trent’anni fa a 18 anni tutti sognavamo la 500, oggi molti giovani considerano l’automobile un male necessario, un oggetto inquinante, un costo inutile, alcuni non prendono nemmeno la patente. Essere attenti al cliente significa non dare per scontato che ami l’auto come noi. Nel dopo vendita il contesto è più “statico” e l’esperto ha maggiori possibilità di essere efficace. Ma anche in questo caso occorre fare attenzione, i clienti che vengono a fare il tagliando non amano tutti l’automobile che possiedono. Il fatto tecnico non prescinde mai dall’occhio di chi lo guarda. L’esperto che ha suggerito il trucco per superare le prove antinquinamento dei diesel Volkswagen non è stato molto efficace. Il mondo osserva e giudica il gesto molto più severamente di quanto lui potesse immaginare tecnicamente.E allora cosa bisogna fare nelle nostre imprese, nelle nostre officine, nei nostri saloni? Assumere venditori di fiori, panificatori, orologiai, dilettanti allo sbaraglio? Contrariamente a Taleb non ho certezze. L’unica risposta che mi viene in mente, siate specialisti o generalisti, esperti statici o dinamici concentratevi poco sul passato e sul futuro e molto sul presente, su ciò che accade “qui e ora”. Fate attenzione più al processo che al risultato, più al percorso che al punto di partenza o di arrivo. A tal proposito vi propongo un aneddoto esemplificativo di vissuto personale. Molti anni fa comprai una lancia Fulvia coupè rossa usata, interno in pelle bianco, cruscotto e volante in legno, un amore! Aveva l’impianto a gas e questo aiutava le mie scarse finanze. Un giorno forai, sostuii la gomma e provai a ripartire. Nulla da fare, la macchina non partiva. Prima di scaricare completamente la batteria giro il pomello dal gas a benzina. Brummm, parte al primo colpo. Tiro un sospiro di sollievo e riparto felice. Nel pomeriggio porto la macchina dall’impiantista e gli racconto l’accaduto. Ero giovane, avevo preso la patente nei militari e non capivo nulla né di motori né di impianti a gas. Gli dissi ridendo, “so che è assurdo, ma sento l’obbligo di dirle che l’impianto ha smesso di funzionare nel preciso istante in cui ho forato la gomma posteriore destra”. Il meccanico rise, scrollò la testa e pensò certamente che fossi un cretino. Ciò che doveva essere risolto in due giorni prese due settimane. Mi cambiò di tutto, polmoni, valvole, filtri ma la macchina continuava a non funzionare. Ogni volta che chiamavo non sapeva che dire. Dopo avermi sostituito inutilmente

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ogni ben di Dio, il meccanico scoprì che con il crik avevo schiacciato il tubo che portava il gas dalla bombola posteriore al motore anteriore. Aveva pensato al punto di partenza e al punto di arrivo ma non al percorso. Ciò che poteva essere risolto in un minuto lo occupò per due settimane, ciò che poteva costare nulla mi costò uno sproposito. L’esperto non aveva ascoltato o creduto alle parole di un giovane ignorante e per questo perse un cliente.

˝Le virgolette di Franco Marzo

LA PECORA TOSATA

Due uomini su un treno guardano fuori dal finestrino alcune pecore che pascolano in un campo. Uno dice: “Quelle pecore sono state appena tosate”. L’altro osserva dice: “Sembra così da questa parte”. La capacità di interpretare è un’esclusiva dell’essere umano, è più forte di noi, dobbiamo spiegare, dedurre, completare, aggiungere, concludere. Una tendenza naturale che ci aiuta a semplificare la vita. Possiamo dare per scontato ciò che abbiamo sempre condiviso? In un mondo che cambia sempre più velocemente i pericoli sono due: generalizzare o proiettare (i nostri pensieri, i nostri desideri, i nostri valori, le nostre paure). Le “tute blu” vogliono tutti un’utilitaria e un’auto usata? Chi non si lamenta mai è veramente soddisfatto? L’avvocato che non ha mai lesinato su antigelo, spazzole e lavaggio, li vuole ancora? In salone chi ha il cane e gioca a golf, gradisce sempre una station wagon? Anni fa il portiere del mio stabile dopo aver firmato l’assegno per acquistare un’Opel Astra, nell’uscire vide un’Opel Tigra. Chiede il prezzo e scopre che costa meno dell’Astra appena acquistata. S’arrabbia, straccia il contratto e torna a casa con la Tigra. Il figlio appena nato, la culla, il passeggino, gli attrezzi di lavoro, tutto dentro la Tigra… Ma se non possiamo mai dare nulla per scontato il lavoro diventa più faticoso! Esatto! L’antidoto? Fare domande. Chi domanda comanda!

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La sfera digitale prende

sempre più spazio nella nostra vita

Marco MarlìaCeo di DriveK

Siamo sempre più invasi dalla moderna tecnologia. Non possiamo sottrarci al progresso. Anche l’ambito del post vendita deve evolversi e mettersi al passo con i tempi. Portare innovazione in un mestiere visto a volte ancora come un’artigianalità è necessario visto che l’82,2% della popolazione che ogni giorno si connette ad Internet corrisponde “casualmente” al numero di patenti attive in Italia. Un numero sempre maggiore di persone inizia a fare ricerche on line per prenotare il proprio tagliando, si documenta sul prezzo degli pneumatici, cerca officine vicine al suo tragitto casa-lavoro e confronta i prezzi e le offerte.Dotarsi di un sito facilmente fruibile, con proposte e offerte chiare, può agevolare notevolmente l’ingresso di nuovi clienti nella propria azienda. Peccato che secondo un sondaggio su circa 1.000 operatori di settore presentato all’ultima edizione di Autopromotec la propensione agli investimenti digitali non sembra essere ancora un trend consolidato nel post vendita.

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Ogni giorno più di tre quarti della popolazione si connette a Internet. Portare innovazione in tutti i settori è sempre più necessario. In un mondo sempre più tecnologico anche le normali abitudini del post vendita automobilistico tendono a cambiare.

DIGITAL MARkETING

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Solo il 20% dei rispondenti dichiara di avere il digitale come una priorità di business, mentre due terzi stanno iniziando solo ora a porre attenzione al tema o ammettono che lo faranno a breve. Questo atteggiamento si riscontra più facilmente nei budget e negli strumenti. Meno del 50% dei siti sono già attrezzati per essere navigati con cellulari o tablet. Quasi un 40% degli intervistati dichiara, inoltre, di non aver un budget di marketing digitale formalizzato, ma di basarsi su operazioni “tattiche”.Peccato che proprio il post vendita auto, più della vendita, sia il canale principe per portare utenti mobile sul sito Internet e trasformarli in lead concreti con un ritorno a breve, anzi a brevissimo. Basti pensare che più di metà delle persone che fa una richiesta in ambito web, effettua una scelta di acquisto entro 48 ore. Insomma, se sull’acquisto di un’auto si riscontrano alcuni curiosi e indecisi, chi deve fare un cambio olio, riparare un guasto o prenotare un tagliando va dritto al punto. Pochi fronzoli e molta concretezza.Diventa necessario disporre di un sito apposito per il service. Avere un sito web orientato alla trasformazione di click in contatti è una questione di efficacia che si ottiene in virtù di contenuti chiari e spiegazioni esaustive. Chiavi che consentano un’indicizzazione migliore sui motori di ricerca e l’affiancamento di strumenti di controllo del traffico e di reportistica.Se provate a cercare su Google frasi tipo “tagliando marca modello città”, “cambio gomme offerte città” troverete pochi player nazionali che effettuano promozioni aggressive e pochissimi dealer ufficiali o officine di ogni ordine e grado. Quelle rare volte che un dealer ufficiale compare in queste ricerche, il percorso che si apre al potenziale cliente è a dir poco tortuoso, confuso e poco rassicurante (promozioni che sul sito non compaiono, navigazioni improbabili, etc.).L’avvicinamento del settore service al digitale è possibile iniziando a investire in strategie di marketing mirate, definendo un processo chiaro e avendo alla base una buona organizzazione. Avere dunque un team formato in grado di rispondere prontamente alle telefonate è il punto di inizio; tutti i dati raccolti poi devono essere integrati con un CRM valido per la gestione dei flussi offrendo una combinazione vincente.Non dimentichiamo, però, che il tema più caldo è forse la fidelizzazione del parco clienti esistenti. Oggi è fondamentale riuscire a raccogliere dati sempre più specifici e dettagliati al fine di consentire un rapporto stabile tra cliente e officina. Sarà così possibile realizzare campagne via e-mail, sms o telefoniche mirate su precisi interessi e reali esigenze dei clienti.Anche se al momento sono ancora pochi i Dealer e le officine che si possono giudicare davvero competitive sul mercato digitale il mondo sta cambiando e questa domanda in costante crescita inizia a diventare la porta di un business in continua espansione.

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Ammortizzatori sociali

anche per le piccole imprese

Matteo Prioschi Giornalista de Il Sole 24 Ore

La situazione attualeGià nel 2012 si è tentato di ampliare il raggio d’azione della cassa integrazione, prevedendo strumenti alternativi alla cassa in deroga, destinata a scomparire. Per questo motivo con la legge Fornero è stata prevista la creazione di Fondi ad hoc per garantire un assegno equivalente alla cassa integrazione ai dipendenti di aziende in difficoltà con oltre quindici addetti. Nei fatti pochi settori hanno istituito questi Fondi.Tra le poche eccezioni c’è l’artigianato, che ha adeguato l’ente bilaterale già esistente, prevedendo tra l’altro interventi a sostegno di aziende anche con meno di quindici dipendenti. Le aziende dei settori esclusi dall’applicazione della cassa integrazione, operanti in settori dove non sono stati istituiti i Fondi e con più di 15 addetti, attualmente rientrano nel campo d’azione del Fondo residuale al quale peraltro si devono versare i contributi ma che non ha ancora iniziato a erogare gli assegni in caso di necessità. Insomma, il disegno messo a punto dal Governo nel 2012 è rimasto quasi interamente incompiuto.

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Anche le imprese con meno di quindici addetti ma con più di cinque potranno utilizzare la cassa integrazione. È una delle novità introdotte dal Jobs act e che diventerà operativa dal prossimo anno.

PREvIDENzA

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Cosa cambiaCon il Jobs act il Governo ci riprova e questa potrebbe essere la volta buona dato che sono stati previsti dei meccanismi per cui, anche a fronte di ritardi amministrativi, il sistema si dovrebbe mettere in moto ricorrendo a un commissario straordinario. L’impostazione generale è simile a quella di tre anni fa, ma con alcune novità. Innanzitutto, come accennato, si abbassa la soglia dimensionale delle aziende per l’accesso agli ammortizzatori sociali. Sarà sufficiente avere in media più di cinque addetti, apprendisti inclusi. Ciò comporta però che tali imprese dovranno anche iniziare a versare i relativi contributi.Quanto alle caratteristiche dei Fondi, restano le 3 grandi categorie:

1) Ogni settore può (dovrebbe) creare un fondo bilaterale che in caso di necessità eroghi un assegno equivalente alla cassa integrazione per minimo 13 e massimo 52 settimane in un quinquennio mobile (massimo 24 mesi per la Cigs – Cassa integrazione guadagni straordinaria). Inoltre a fronte dell’utilizzo di accordi di solidarietà che comportano la riduzione d’orario per evitare licenziamenti i fondi potranno pagare un assegno di solidarietà per massimo 12 mesi.

2) I settori dell’artigianato e della somministrazione che già operano in base alla riforma del 2012 si dovranno adeguare alle nuove regole e dovranno anch’essi prevedere le tre tipologie di integrazione salariale previste per gli altri fondi. Il sistema sarà alimentato con un contributo dello 0,45% della retribuzione in teoria suddiviso tra azienda (due terzi) e dipendenti, ma imprese e sindacati possono accordarsi in modo diverso (c’è un aumento di costi dato che ora l’aliquota è dello 0,20%). Obiettivo del Fondo dell’artigianato è includere, al pari di quanto già accade, anche le aziende con meno di cinque addetti, che sono la gran parte del settore.

3) Nel caso in cui i singoli settori non creino o non adeguino i fondi esistenti, le relative imprese con più di cinque addetti faranno riferimento al Fondo di integrazione salariale, che da gennaio 2016 sostituirà il Fondo residuale. Questo fondo “costerà” lo 0,45% delle retribuzioni per le imprese fino a 15 addetti e lo 0,65% per quelle più grandi, oltre a un contributo del 4% delle retribuzioni perse in caso di utilizzo dei relativi strumenti. Questi ultimi saranno l’assegno di solidarietà per tutte le aziende e anche l’assegno di cassa integrazione per quelle oltre 15 dipendenti.

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Con il JobS aCt per i Controlli a diStanza è fondamentale l’informativa ai dipendenti

Uno dei punti più discussi del Jobs act è relativo alle nuove regole sui controlli a distanza dei lavoratori. Le novità principali riguardano le modalità con cui si può dare in uso alcuni dispositivi ai dipendenti e l’uso che si può fare delle informazioni acquisite tramite questi dispositivi.La regola generale prevede il divieto di utilizzare sistemi che hanno l’esclusiva finalità di controllare i lavoratori. Tuttavia, previo accordo sindacale o autorizzazione ministeriale, possono essere installati in azienda degli strumenti di controllo per tutelare il patrimonio aziendale, garantire la sicurezza sul lavoro o per esigenze organizzative o produttive che, come effetto “collaterale”, consentono anche il controllo dei dipendenti.Con il Jobs act è stato stabilito, però, che l’accordo o l’autorizzazione non sono necessari per gli strumenti che registrano le presenze e gli accessi (in determinate aree dell’azienda per esempio) e per i dispositivi forniti ai lavoratori per svolgere la loro attività. In quest’ultima casistica rientrano smartphone, computer, navigatori satellitari che, anche senza modifiche, possono fornire una serie di informazioni su cosa e quando fa il dipendente. A tutela di quest’ultimo la legge prevede però che le informazioni acquisite tramite questi dispositivi possano essere utilizzate “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” quindi anche sul piano disciplinare, solo se il lavoratore viene correttamente informato sull’esistenza e la modalità dei controlli. Il punto di riferimento, a questo riguardo, è il codice della privacy.Di conseguenza diventa fondamentale predisporre delle informative quanto più complete e aderenti ai principi indicati dal Garante della privacy. Operazione non facile, che comporterà l’aiuto di un professionista specializzato.

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Iva e ritenute: cambiano le sanzioni

per il mancato versamento

Nicola Amorusodottore commercialista in Milano

Prima delle modifiche, la soglia annuale oltre la quale scattava il reato di omesso versamento era di 50mila euro per le ritenute e di 150mila euro per l’Iva. Dall’entrata in vigore della riforma (8 ottobre 2015) questi due valori sono elevati, rispettivamente, a 150mila euro per le ritenute e 250mila euro per l’Iva. Per comprendere da quale momento queste nuove regole penali avranno efficacia, bisogna tener presente che nel nostro ordinamento giuridico vige il cosiddetto principio del favor rei, per il quale (art. 3 c.p.) nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più reato. Quindi le nuove soglie penali, pur in vigore da ora in avanti, essendo più favorevoli per il contribuente, varranno anche per i reati commessi in passato. La violazione di omesso versamento delle ritenute si commette se, entro il termine di presentazione del mod. 770 (30 settembre dell’anno successivo) l’importo delle ritenute non versate supera la soglia penale (vecchia di 50mila euro o nuova di 150mila euro). Di conseguenza, un contribuente che lo scorso 30 settembre 2015 ha presentato una dichiarazione mod. 770 per l’anno 2014, con

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Con il decreto varato dal Cdm del 22 settembre 2015 il legislatore ha realizzato un corposo riordino del sistema fiscale italiano, con particolare riguardo alle sanzioni penali e civili che gravano il mancato versamento delle ritenute e dell’Iva.

FISCO

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importo superiore a 50mila, ma inferiore a 150mila, non sarà più punibile, mentre lo sarebbe stato senza il cambiamento della norma. Ovviamente la stessa regola si applicherà anche per gli anni anteriori al 2014.Per l’Iva il reato si consuma alla scadenza dell’acconto dell’anno successivo, per cui per le omissioni penalmente rilevanti ai fini Iva per il 2014 (il 27 dicembre 2015) occorrerà fare riferimento al nuovo valore di 250mila euro. Se il mancato versamento Iva non supererà 250mila euro il fatto non costituirà più reato.La buona notizia delle soglie più elevate, però, è accompagnata dall’aggravamento di una norma riguardante le ritenute, secondo la quale, nella nuova versione, il reato si consuma non quando vengono rilasciate ai sostituti d’imposta attestazioni oltre il valore limite di 150mila, ma quando le omissioni risultano che siano dovute in base alla dichiarazione.Per comprendere la portata dell’innovazione si deve tener presente che l’Agenzia delle Entrate riconosceva al contribuente le ritenute d’acconto pagate, solo se costui esibiva le attestazioni rilasciate dai sostituti. Di conseguenza il sostituto d’imposta che non versava, ma non rilasciava le attestazioni, di fatto, non danneggiava l’erario e, quindi, niente reato, perché il contribuente non poteva detrarsi ciò che l’erogante, dall’altra parte, non aveva versato. Di qui la scelta di non punibilità.Questa rigida regola, se da un lato tutelava l’Agenzia delle Entrate, dall’altro penalizzava ingiustamente tutti i contribuenti che non disponevano delle attestazioni per motivi diversi dal mancato versamento delle ritenute (smarrimenti, disguidi postali, negligenza del sostituto, ecc.). La giurisprudenza di merito, però, si è sempre dimostrata favorevole a riconoscere le ritenute, purché il contribuente fosse d in grado di dimostrare, in maniera attendibile, di aver effettivamente pagato la ritenuta.A questo punto, però, l’Agenzia delle Entrate, per ristabilire l’equilibrio, ha richiesto al legislatore di stabilire che il reato si consumi non con il rilascio delle attestazioni, ma con la semplice circostanza che le ritenute siano dovute in base alla dichiarazione.

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AUTO E SALUTE

I pericoli dell’obesità e del microsleep

Aldo FerraraProfessore di malattie cardio-polmonari - Università di Siena

Tra i problemi principali, documentati sperimentalmente nel Volume “Fisiologia Clinica alla guida” (ed. Piccin), appaiono dominanti obesità e microsleep. In particolare l’obesità costituisce una problematica centrale per la dimensione del rischio sociale che la patologia sta assumendo e per l’allerta che consente nella prognosi precoce dei fattori di rischio cardiovascolari. In Italia il 9,7% della popolazione è obesa ma è ancora più preoccupante che il 33,1% sia a rischio in quanto in sovrappeso (41% degli uomini e 25,7% delle donne). Vengono rilevate alte percentuali di incipiente obesità anche nelle età infantile e adolescenziale. A dispetto della dieta mediterranea il fenomeno è sorprendentemente più diffuso al Sud (in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata riguarda più del 40% del campione). Ciascuno di noi può facilmente e capire se è in sovrappeso od obeso accertando che il proprio Body Mass Index (BMI indice espresso dal rapporto tra peso in kg e altezza al quadrato) non superi i valori di 25 (sovrappeso) e 30 (obesità).Dopo la descrizione della sindrome di Pickwick fatta da Burwell e altri (1956) è stato evidenziato che il problema principale dell’obeso è la disfunzione respiratoria. L’obesità pickwickiana, la forma più studiata, è caratterizzata, oltre che dall’eccesso di peso, dall’ipersonnia diurna e dalle pause respiratorie durante il sonno. Coloro che ne soffrono inoltre si addormentano nei

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I guidatori affetti da obesità sono soggetti a diverse insidie che minacciano la sicurezza stradale. Alcuni accorgimenti nel confort in auto per ridurre i rischi alla guida.

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momenti più inattesi e sono sovente cianotici e poliglobulici.Come estrema sindrome si può arrivare alla «maledizione di Ondina» che trae il nome dalla descrizione letteraria di J. Giradoux, secondo la quale la ninfa Ondina, tradita dal suo amante, si vendica privandolo d’ogni automatismo, compreso quello respiratorio. È l’ipossiemia, ossia la caduta verticale della concentrazione di ossigeno seguita dall’aumento di anidride carbonica che altera la sensorialità alla guida e ad altri stimoli esterni. Il paziente obeso alla guida si addormenta dopo circa 15’, come se fosse seduto davanti alla tv. Oltre all’ipersonnia, l’obeso accusa anche fenomeni da microsleep, ossia induzione rapida e frequente a piccoli addormentamenti da cui spesso si riprende. La fenomenologia della sonnolenza è spesso riconducibile a fattori vari tra cui la stanchezza. Oltre al naturale affaticamento, che si verifica fisiologicamente al termine della giornata, e che induce sonnolenza ad orari abituali, un’eccessiva fatica diurna può anticipare la comparsa di sonnolenza. L’orario del trip in vettura va dunque programmato evitando di partire dopo eccessiva fatica o in orario notturno. Non a caso la maggior parte degli incidenti stradali avviene fra le 2 e le 6 del mattino e nelle ore pomeridiane. Il microsleep provoca una sorta di blocco temporaneo dell'attenzione durante il quale il cervello elabora gli stimoli visivi ad una velocità pari a quella di una persona in stato di ebbrezza.Per rendere un’idea del problema, basti pensare che, a 120 Km/h, se il guidatore chiude gli occhi per tre secondi circa, come avviene in una situazione di stanchezza, percorre 100 metri senza controllo, in guida cieca.Negli ultimi anni, si è attribuita all’apnea notturna importanza primaria quale causa di sonnolenza diurna. In verità le cause di sonnolenza si inscrivono in un ventaglio molto più ampio che va dall’ipossia e dalle patologie che la generano fino all’assunzione di farmaci. Apnee notturne che disturbano il sonno e che inducono sonnolenza diurna, unitamente alle sindromi da ipersonnia, sono solo concause che comunque non vanno ignorate dalla medicina diagnostica.

Alcuni accenni infine sulle esigenze di confort in auto che dovrebbero essere considerate dai progettisti di auto ma anche dagli stessi ammalati in fase di scelta dell’auto. L’obeso alla guida tende ad assumere una posizione errata sul sedile. Specie nelle curve quando il tronco tende a seguire la traiettoria opposta alla curva per effetto centrifugo. L’ergonomia dei sedili costituisce dunque esigenza di fondamentale importanza per questi pazienti. Agli obesi necessitano auto con sedili a contenimento, con borlotti laterali anche gonfiabili a sostegno del tronco. Di rilievo è anche il fatto che spesso l’obeso è un brevilineo con difficoltà a posizionare le gambe sul sedile a 70-90°. La seduta deve dunque essere più corta o arretrata consentendo un più facile ritorno del sangue venoso dalle gambe al torace. Inoltre la posizione del corpo deve essere alta per una corretta e completa visibilità della strada. Dunque l’obeso, all’atto dell’acquisto deve scegliere una vettura a baricentro alto che gli consenta campo visivo pieno. L’angolo tra seduta

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e schienale deve essere superiore ai 90 ° per meglio distendere l’addome. In conclusione alcune considerazioni sull’obbligo della cintura di sicurezza per gli obesi. Di provata efficacia per la salvezza di vite umane, la cintura può porre problemi respiratori per compressione del diaframma, la cui funzione è già limitata dall’obesità stessa. Occorrerebbero dunque, per chi ne è affetto, cinture scapolari, come quelle adottate sugli aerei militari o nelle supercar sportive. Consiglio analogo anche per le donne che potrebbero subire traumi mammari in caso di pretensionamento.

Bibliografia - Fisiologia Clinica alla guida, a cura di Aldo Ferrara. Piccin Editore

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Abolizione dell’IMU sui macchinari

imbullonati: forse è “la volta buona”

Saverio Fossatigiornalista de Il Sole 24 Ore

I macchinari “imbullonati” non resteranno sotto il tallone del catasto. Il problema è stato risolto dalla Legge di Stabilità 2016 (quella che un tempo si chiamava “la Finanziaria”), che li ha esclusi dalla tassazione immobiliare.La definitiva archiviazione della riforma del catasto (l’unico decreto legislativo importante della legge delega fiscale che sia stato accantonato) aveva lasciato in eredità il problema della tassazione delle parti “non incorporate al suolo” ma che sono costitutive dei fabbricati industriali. La questione ha ormai dieci anni: parte dal D.L. 44/2005, che ha stabilito che «i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso». Quindi anche «gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale [...] anche se fisicamente non incorporati al suolo». Il risultato, almeno nell’interpretazione dell’agenzia del Territorio (ora incorporata nell’agenzia delle Entrate), è stato che ogni macchinario fisso (che è appunto una “parte strutturalmente

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Per la definitiva abolizione dell’iniqua tassazione delle parti non incorporate si dovrà però attendere l’approvazione della Legge di Stabilità 2016, prevista per la fine dell’anno.

IMMOBILI

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connessa”, soprattutto negli edifici occupati da concessionari auto) avrebbe dovuto ricevere una rendita catastale. Con la conseguente applicazione dell’Ici e, adesso, dell’Imu. Come distinguere un macchinario “fisso” (normalmente chiamato, appunto “imbullonato”) da uno non fisso e quindi non tassabile? Mistero. In questa situazione, negli ultimi anni, sono fioccate le attribuzioni di rendita catastale (spesso sollecitate dai Comuni sempre più avide di gettito Imu) e i ricorsi, ma la situazione si è fatta così preoccupante che Confindustria ha espresso più volte a gran voce la necessità di un intervento chiarificatore. E l’intervento, tra l’altro, c’è stato: una solenne beffa. La legge di Stabilità 2015 (varata lo scorso dicembre) ha infatti indicato proprio la circolare 6/T/2012 come il riferimento da seguire, sposando in sostanza la linea dura del fisco. In sostanza, alle imprese che chiedevano chiarezza (ovviamente per poter escludere i macchinari dalla tassazione) il Parlamento (non si sa quanto consapevolmente) ha risposto dicendo che avevano ragione le Entrate!

A questo punto, chiarito l’equivoco dopo le reazioni piuttosto risentite del mondo industriale ma anche di chiunque occupi un edificio che abbia avuto in sorte la categoria catastale “D” (immobili industriali) che ospiti macchinari imponenti (insomma, decine di migliaia di imprese di tutti i generi) il Governo aveva promesso, la scorsa estate, che avrebbe finalmente messo mano alla faccenda approfittando del decreto legislativo contenente la riforma del catasto, attuativo della legge delega fiscale. Dopo le polemiche sugli aumenti delle rendite catastali, inevitabile conseguenza del dettato dell’adeguamento dei valori catastali a quelli di mercato richiesto dalla legge delega, il Governo ha pensato bene di accantonare il tutto (siamo ormai all’ennesimo tentativo di riforma del catasto italiano). Con il risultato, però, di azzerare anche le speranze dei contribuenti proprietari di macchinari industriali “imbullonati”. Nei primi giorni di ottobre, tuttavia, le speranze si erano riaperte: voci sempre più consistenti affermavano che nella legge di Stabilità 2016 (quella che verrà approvata con votazione del Parlamento entro fine anno) avrebbe trovato posto l’agognata correzione. Ma in che forma? In base alle prime anticipazioni, l’esenzione dei macchinari dalla rendita catastale (e quindi delle tasse immobiliari) è inserita all’interno di un pacchetto più ampio di provvedimenti pro imprese. E così viene cancellata l’Imu oggi pretesa dai Comuni sui beni produttivi ancorati al suolo, appunto gli “imbullonati”. Un segno positivo che si collega all’operazione studiata per incentivare le imprese all’acquisto di macchinari: i super-ammortamenti per nuovi investimenti sono un punto fermo della manovra 2016.Resta il giudizio complessivamente negativo da dare su questa vicenda assurda, che, mentre si parla di abolizione, fino all’approvazione definitiva della Legge di Stabilità 2016, continua a pesare sulle imprese costrette a pagare centinaia (se non migliaia) di euro di Imu per il fatto di possedere macchinari all’interno di capannoni per i quali pagano già un’Imu spropositata.

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N°5 - Ottobre 2015

Direttore editoriale: Nicola GiardinoDirettore responsabile: Renzo ServadeiCoordinamento testi: Guido GambassiRedazione: Sabrina Negro / [email protected]à: Gloria Guasina / [email protected]

Editore: Promotec srl, Via Emilia 41/b, 40011 Anzola Emilia (BO) Tel. +39 051 6424021 Fax +39 051 733008 CF: 01169290374 P. IVA: 00536491202 http://www.autopromotec.com/magazine

Hanno collaborato a questo numero: Franco Marzo, Matteo Prioschi, Marco Dipietro, Massimo Brunamonti, Marco Marlìa, Saverio Fossati, Alberto Armaroli, Aldo Ferrara.

È vietata la riproduzione, anche parziale, dei testi senza preventiva autorizzazione scritta dell’editore.

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