Online Greco Poikilos Versioni di esame...3 simposi e feste continue, né godimento di fanciulli e...

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1 1 Prime esperienze politiche di Platone Sessione unica 1987 Nevo~ ejgwv pote w]n polloi`~ dh; taujto;n e[paqon: wj/hvqhn, eij qa`tton ejmautou` genoivmhn kuvrio~, ejpi; ta; koina; th`~ povlew~ eujqu;~ ijevnai. Kaiv moi tuvcai tine;~ tw`n th`~ povlew~ pragmavtwn toiaivde parevpeson. ÔUpo; pollw`n ga;r th`~ tovte politeiva~ loidoroumevnh~ metabolh; givgnetai, kai; th`~ metabolh`~ ei|~ kai; penthvkontav tine~ a[ndre~ prouvsthsan a[rconte~, e{ndeka me;n ejn a[stei, devka d∆ ejn Peiraei` < periv te ajgora;n eJkavteroi touvtwn o{sa t∆ ejn toi`~ a[stesi dioikei`n e[dei < triavkonta de; pavntwn a[rconte~ katevsthsan aujtokravtore~. Touvtwn dhv tine~ oijkei`oiv te o[nte~ kai; gnwvrimoi ejtuvgcanon ejmoiv, kai; dh; kai; parekavloun eujqu;~ wJ~ ejpi; proshvkonta pravgmatav me. Kai; ejgw; qaumasto;n oujde;n e[paqon uJpo; neovthto~: wj/hvqhn ga;r aujtou;~ e[k tino~ ajdivkou bivou ejpi; divkaion trovpon a[gonta~ dioikhvsein dh; th;n povlin, w{ste aujtoi`~ sfovdra prosei`con to;n nou`n, tiv pravxoien. kai; oJrw`n dhvpou tou;~ a[ndra~ ejn crovnw/ ojlivgw/ cruso;n ajpodeivxanta~ th;n e[mprosqen politeivan < tav te a[lla kai; fivlon a[ndra ejmoi; presbuvteron Swkravth, o}n ejgw; scedo;n oujk a]n aijscunoivmhn eijpw;n dikaiovtaton ei\nai tw`n tovte, ejpiv tina tw`n politw`n meq∆ eJtevrwn e[pempon, biva/ a[xonta wJ~ ajpoqanouvmenon, i{na dh; metevcoi tw`n pragmavtwn aujtoi`~, ei[te bouvloito ei[te mhv: oJ d∆ oujk ejpeivqeto, pa`n de; parekinduvneusen paqei`n pri;n ajnosivwn aujtoi`~ e[rgwn genevsqai koinwnov~ < a} dh; pavnta kaqorw`n kai; ei[ tin˘ a[lla toiau`ta ouj smikrav, ejduscevranav te kai; ejmauto;n ejpanhvgagon ajpo; tw`n tovte kakw`n. Lettera VII 324b-325a Un tempo, essendo giovane, provai la stessa cosa (che provano) molti: pensai, se fossi diventato velocemente padrone di me stesso, di dedicarmi subito agli affari della città. E mi accaddero alcune circostanze di questo tipo tra le vicende della città. Infatti, essendo allora il governo della città criticato da molti, vi fu un rivolgimento, e a capo del rivolgimento si posero cinquantuno uomini, undici nella città, dieci al Pireo, – bisognava che questi presiedessero al mercato e alle necessità dei centri urbani –, ma a capo di tutti erano trenta comandanti con pieni poteri. Alcuni di costoro erano miei parenti e conoscenti, e perciò mi invitavano come ad attività che mi si confacevano. E non provavo nulla di straordinario in ragione della mia giovinezza: dopo pensai infatti che essi avrebbero amministrato la città volgendola da un sistema di vita ingiusto a una condotta giusta, cosicché guardavo con attenzione cosa avrebbero fatto. E in verità vedendo che (quegli) uomini facevano sembrare oro la precedente forma di governo – tra l’altro un mio amico più anziano, Socrate, che non mi vergognerei di definire l’uomo più giusto del tempo, lo volevano mandare a prendere, insieme ad altri uomini, uno dei cittadini, per farlo uccidere, affinché condividesse le loro azioni, che volesse o no; ma egli non si lasciava convincere, ma fu disposto a subire ogni cosa piuttosto che diventare complice delle loro empie azioni – appunto osservando tutte le vicende e altri casi simili non di lieve entità, provai disgusto e mi allontanai dai mali di allora. Versioni d’esame APPENDICE • Versioni d’esame

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1 Prime esperienze politiche di PlatoneSessione unica 1987

Nevo~ ejgwv pote w]n polloi`~ dh; taujto;n e[paqon: wj/hvqhn, eij qa`tton ejmautou` genoivmhn kuvrio~, ejpi; ta; koina; th`~ povlew~ eujqu;~ ijevnai. Kaiv moi tuvcai tine;~ tw`n th`~ povlew~ pragmavtwn toiaivde parevpeson. ÔUpo; pollw`n ga;r th`~ tovte politeiva~ loidoroumevnh~ metabolh; givgnetai, kai; th`~ metabolh`~ ei|~ kai; penthvkontav tine~ a[ndre~ prouvsthsan a[rconte~, e{ndeka me;n ejn a[stei, devka d∆ ejn Peiraei` < periv te ajgora;n eJkavteroi touvtwn o{sa t∆ ejn toi`~ a[stesi dioikei`n e[dei < triavkonta de; pavntwn a[rconte~ katevsthsan aujtokravtore~. Touvtwn dhv tine~ oijkei`oiv te o[nte~ kai; gnwvrimoi ejtuvgcanon ejmoiv, kai; dh; kai; parekavloun eujqu;~ wJ~ ejpi; proshvkonta pravgmatav me. Kai; ejgw; qaumasto;n oujde;n e[paqon uJpo; neovthto~: wj/hvqhn ga;r aujtou;~ e[k tino~ ajdivkou bivou ejpi; divkaion trovpon a[gonta~ dioikhvsein dh; th;n povlin, w{ste aujtoi`~ sfovdra prosei`con to;n nou`n, tiv pravxoien. kai; oJrw`n dhvpou tou;~ a[ndra~ ejn crovnw/ ojlivgw/ cruso;n ajpodeivxanta~ th;n e[mprosqen politeivan < tav te a[lla kai; fivlon a[ndra ejmoi; presbuvteron Swkravth, o}n ejgw; scedo;n oujk a]n aijscunoivmhn eijpw;n dikaiovtaton ei\nai tw`n tovte, ejpiv tina tw`n politw`n meq∆ eJtevrwn e[pempon, biva/ a[xonta wJ~ ajpoqanouvmenon, i{na dh; metevcoi tw`n pragmavtwn aujtoi`~, ei[te bouvloito ei[te mhv: oJ d∆ oujk ejpeivqeto, pa`n de; parekinduvneusen paqei`n pri;n ajnosivwn aujtoi`~ e[rgwn genevsqai koinwnov~ < a} dh; pavnta kaqorw`n kai; ei[ tin˘ a[lla toiau`ta ouj smikrav, ejduscevranav te kai; ejmauto;n ejpanhvgagon ajpo; tw`n tovte kakw`n.

Lettera VII 324b-325a

Un tempo, essendo giovane, provai la stessa cosa (che provano) molti: pensai, se fossi diventato velocemente padrone di me stesso, di dedicarmi subito agli affari della città. E mi accaddero alcune circostanze di questo tipo tra le vicende della città. Infatti, essendo allora il governo della città criticato da molti, vi fu un rivolgimento, e a capo del rivolgimento si posero cinquantuno uomini, undici nella città, dieci al Pireo, – bisognava che questi presiedessero al mercato e alle necessità dei centri urbani –, ma a capo di tutti erano trenta comandanti con pieni poteri. Alcuni di costoro erano miei parenti e conoscenti, e perciò mi invitavano come ad attività che mi si confacevano. E non provavo nulla di straordinario in ragione della mia giovinezza: dopo pensai infatti che essi avrebbero amministrato la città volgendola da un sistema di vita ingiusto a una condotta giusta, cosicché guardavo con attenzione cosa avrebbero fatto. E in verità vedendo che (quegli) uomini facevano sembrare oro la precedente forma di governo – tra l’altro un mio amico più anziano, Socrate, che non mi vergognerei di definire l’uomo più giusto del tempo, lo volevano mandare a prendere, insieme ad altri uomini, uno dei cittadini, per farlo uccidere, affinché condividesse le loro azioni, che volesse o no; ma egli non si lasciava convincere, ma fu disposto a subire ogni cosa piuttosto che diventare complice delle loro empie azioni – appunto osservando tutte le vicende e altri casi simili non di lieve entità, provai disgusto e mi allontanai dai mali di allora.

Versioni d’esame

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2 Un corteo di maschere guidato dalla fortuna Sessione ordinaria 1990

Dokei` moi oJ tw`n ajnqrwvpwn bivo~ pomph`/ tini makra`/ proseoikevnai, corhgei`n de; kai; diatavttein e{kasta hJ Tuvch, diavfora kai; poikivla toi`~ pompeutai`~ ta; schvmata prosavptousa: to;n me;n ga;r labou`sa, eij tuvcoi, basilikw`~ dieskeuvasen, tiavran te ejpiqei`sa kai; dorufovrou~ paradou`sa kai; th;n kefalh;n stevyasa tw`/ diadhvmati, tw`/ de; oijkevtou sch`ma perievqhken: to;n dev tina kalo;n ei\nai ejkovsmhsen, to;n de; a[morfon kai; geloi`on pareskeuvasen: pantodaph;n gavr, oi\mai, dei` genevsqai th;n qevan. Pollavki~ de; kai; dia; mevsh~ th`~ pomph`~ metevbale ta; ejnivwn schvmata oujk ejw`sa eij~ tevlo~ diapompeu`sai wJ~ ejtavcqhsan, ajlla; metamfievsasa to;n me;n Kroi`son hjnavgkase th;n tou` oijkevtou kai; aijcmalwvtou skeuh;n ajnalabei`n, to;n de; Maiavndrion tevw~ ejn toi`~ oijkevtai~ pompeuvonta th;n tou` Polukravtou~ turannivda metenevduse. Kai; mevcri mevn tino~ ei[ase crh`sqai tw`/ schvmati: ejpeida;n de; oJ th`~ pomph`~ kairo;~ parevlqh/, thnikau`ta e{kasto~ ajpodou;~ th;n skeuh;n kai; ajpodusavmeno~ to; sch`ma meta; tou` swvmato~ ejgevneto oi|ovsper h\n pro; tou` genevsqai, mhde;n tou` plhsivon diafevrwn.

Luciano, Menippo, 16

Mi sembra che la vita umana assomigli a una lunga processione, (e) che la sorte ordini e distribuisca ogni cosa, adattando ai partecipanti abiti diversi e vari: prendendo uno (nel quale) si imbatte, lo veste da re, mettendogli la tiara in capo, circondandolo di guardie, incoronandolo con il diadema; a un altro fa indossare l’abito di un servo; a chi dà un aspetto bello, a chi uno brutto e ridicolo: infatti, credo, lo spettacolo deve essere vario. Spesso nel mezzo della processione cambia gli abiti di alcuni, non lasciando che arrivino alla fine come erano stati preparati, ma, mutando l’abito a Creso, lo costringe a prendere l’abito di un servo e prigioniero; e a Meandro, fino ad allora vestito da servo, fa indossare la tirannide di Policrate. E per qualche tempo gli lascia portare la veste: ma quando giunge il compimento della processione, allora ciascuno avendo restituito l’abbigliamento, e spogliatosi delle vesti insieme al corpo, diventa quale era prima di nascere, in nulla differente dal vicino.

3 La vita è felice solo se saggia, bella e giusta Sessione ordinaria 1991

”Otan ou\n levgwmen hJdonh;n tevlo~ uJpavrcein, ouj ta;~ tw`n ajswv- twn hJdona;~ kai; ta;~ ejn ajpolauvsei keimevna~ levgomen, w{“ tine~ ajgnoou`nte~ kai; oujc oJmologou`nte~ h] kakw`~ ejkdecovmenoi nomivzousin, ajlla; to; mhvte ajlgei`n kata; sw`ma mhvte taravttesqai kata; yuchvn. Ouj ga;r povtoi kai; kw`moi suneivronte~ oujd∆ ajpolauvsei~ paivdwn kai; gunaikw`n oujd∆ ijcquvwn kai; tw`n a[llwn o{sa fevrei polutelh;~ travpeza, to;n hJdu;n genna`/ bivon, ajlla; nhvfwn logismo;~ kai; ta;~ aijtiva~ ejxereunw`n pavsh~ aiJrevsew~ kai; fugh`~ kai; ta;~ dovxa~ ejxelauvnwn, ejx w|n plei`sto~ ta;~ yuca;~ katalambavnei qovrubo~. Touvtwn de; pavntwn ajrch; kai; to; mevgiston ajgaqo;n frovnhsi~. Dio; kai; filosofiva~ timiwvteron uJpavrcei frovnhsi~, ejx h|~ aiJ loipai; pa`sai pefuvkasin ajretaiv, didavskousa wJ~ oujk e[stin hJdevw~ zh`n a[neu tou` fronivmw~ kai; kalw`~ kai; dikaivw~, oujde; fronivmw~ kai; kalw`~ kai; dikaivw~ a[neu tou` hJdevw~. Sumpefuvkasi ga;r aiJ ajretai; tw`/ zh`n hJdevw~ kai; to; zh`n hJdevw~ touvtwn ejsti;n ajcwvriston.

Quando dunque diciamo che il fine è il piacere, non intendiamo i piaceri dei dissoluti o quelli che consistono nel godimento, come credono alcuni che non ci conoscono o non sono d’accordo con noi o ci fraintendono, ma il non soffrire nel corpo e il non subire turbamento nell’animo. Infatti, non

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simposi e feste continue, né godimento di fanciulli e di donne, né di pesci o di altri cibi, quanti offre una mensa ricca, rendono felice la vita, ma una razionalità equilibrata, che indaga le cause di ogni scelta e di ogni rifiuto e respinga le opinioni, a causa delle quali il massimo turbamento colpisce gli animi. Principio di tutte queste cose e massimo bene è la prudenza. Perciò è un bene maggiore anche della filosofia la prudenza, dalla quale traggono origine tutte le altre virtù, e che insegna che non è possibile vivere nel piacere senza (vivere) prudentemente, bene e giustamente, né prudentemente, bene e giustamente senza il piacere. Infatti le virtù sono connaturate al vivere con il piacere e il vivere con il piacere è inseparabile da esse.

4 Il buon medico deve conoscere l’ambiente naturale e umano in cui operaSessione ordinaria 1993

∆Ihtrikh;n o{sti~ bouvletai ojrqw`~ zhtevein, tavde crh; poievein: prw`ton me;n ejnqumevesqai ta;~ w{ra~ tou` e[teo~, o{ ti duvnatai ajpergavzesqai eJkavsth: ouj ga;r ejoivkasin oujde;n, ajlla; poulu; diafevrousin aujtaiv te eJwutevwn kai; ejn th`/si metabolh`/sin: e[peita de; ta; pneuvmata ta; qermav te kai; ta; yucrav: mavlista me;n ta; koina; pa`sin ajnqrwvpoisin, e[peita de; kai; ta; ejn eJkavsth/ cwvrh/ ejpicwvria ejovnta. Dei` de; kai; tw`n uJdavtwn ejnqumevesqai ta;~ dunavmia~: w{sper ga;r ejn tw`/ stovmati diafevrousi kai; ejn tw`/ staqmw`/, ou{tw kai; hJ duvnami~ diafevrei poulu; eJkavstou. ”Wste, ej~ povlin ejpeida;n ajfivkhtaiv ti~ h|~ a[peirov~ ejsti, diafrontivsai crh; th;n qevsin aujth`~, o{kw~ kevetai kai; pro;~ ta; pneuvmata kai; pro;~ ta;~ ajnatola;~ tou` hJlivou: ouj ga;r twujto; duvnatai h{ti~ pro;~ borevhn kevetai, kai; h{ti~ pro;~ novton, oujd˘ h{ti~ pro;~ h{lion ajnivsconta, oujd˘ h{ti~ pro;~ duvnonta. Tau`ta de; ejnqumevesqai wJ~ kavllista: kai; tw`n uJdavtwn pevri wJ~ e[cousi, kai; povteron eJlwvdesi crevontai kai; malakoi`sin, h] sklhroi`siv te kai; ejk metewvrwn kai; ejk petrwdevwn, ei[te aJlukoi`si kai; ajteravmnoisin: kai; th;n gh`n, povteron yilhv te kai; a[nudro~, h] dasei`a kai; e[fudro~, kai; ei[te ejn koivlw/ ejsti; kai; pnighrh;, ei[te metevwro~ kai; yucrhv: kai; th;n divaitan tw`n ajnqrwvpwn, oJkoivh/ h{dontai, povteron filopovtai kai; ajristhtai; kai; ajtalaivpwroi, h] filogumnastaiv te kai; filovponoi, kai; ejdwdoi; kai; a[potoi.

Ippocrate, Sulle arie, acque, luoghi, 1

Chiunque voglia occuparsi rettamente di ricerca medica, deve fare queste cose: in primo luogo (deve) prendere in considerazione le stagioni dell’anno, cioè che cosa può produrre ciascuna (di esse); infatti non sono per nulla simili, ma differiscono molto sia esse stesse fra loro sia nei cambiamenti; poi (deve prendere in considerazione) i venti caldi e freddi: soprattutto quelli comuni a tutti i popoli, ma poi anche quelli che sono tipici in ciascuna regione. Bisogna quindi anche prendere in considerazione le proprietà delle acque: come infatti (esse) sono differenti nel sapore e nel peso, così anche la proprietà di ciascuna è molto diversa. Cosicché, quando uno arriva in una città di cui non è pratico, deve valutare attentamente la sua posizione, com’è orientata sia rispetto ai venti sia rispetto al sorgere del sole. Non ha infatti le medesime caratteristiche la (città) che è rivolta verso Bòrea, quella che (è rivolta) verso Noto, né quella (rivolta) verso il sole che sorge né quella (rivolta) verso il (sole che) tramonta. Su queste cose bisogna riflettere nel modo più accurato; inoltre su come sono le acque, (cioè) se (gli abitanti) dispongano di (acque) stagnanti e molli, o dure e (provenienti) da zone elevate e rocciose; o se (di acque) salmastre e sgradevoli; e (bisogna considerare) la terra, se (sia) brulla e arida, oppure boscosa e umida; e se sia infossata e afosa oppure elevata e fresca; e il modo di vivere degli abitanti, quale prediligano, (cioè) se (siano) amanti del bere e del cibo e sfaticati, oppure amanti dell’esercizio fisico e del lavoro, e mangino molto e (siano) moderati nel bere.

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5 Per una sana educazione occorre evitare gli eccessiSessione ordinaria 1996

“Hdh dev tina~ ejgw; ei\don patevra~, oi|~ to; livan filei`n tou` mh; filei`n ai[tion katevsth. Tiv ou\n ejstin o} bouvlomai levgein, i{na tw`/ paradeivgmati fwteinovteron poihvsw to;n lovgon… Speuvdonte~ ga;r tou;~ pai`da~ ejn pa`si tavcion prwteu`sai povnou~ aujtoi`~ uJpermevtrou~ ejpibavllousin, oi|~ ajpaudw`nte~ ejkpivptousi, kai; a[llw~ barunovmenoi tai`~ kakopaqeivai~ ouj devcontai th;n mavqhsin eujhnivw~. “Wsper ga;r ta; futa; toi`~ me;n metrivoi~ u{dasi trevfetai, toi`~ de; polloi`~ pnivgetai, to;n aujto;n trovpon yuch; toi`~ me;n summevtroi~ au[xetai povnoi~, toi`~ d∆ uJperbavllousi baptivzetai. Dotevon ou\n toi`~ paisi;n ajnapnoh;n tw`n sunecw`n povnwn, ejnqumoumevnou~ o{ti pa`~ oJ bivo~ hJmw`n eij~ a[nesin kai; spoudh;n dihv/rhtai. Kai; dia; tou`t∆ ouj movnon ejgrhvgorsi~ ajlla; kai; u{pno~ euJrevqh, oujde; povlemo~ ajlla; kai; eijrhvnh, oujde; ceimw;n ajlla; kai; eujdiva, oujd∆ ejnergoi; pravxei~ ajlla; kai; eJortaiv. Sunelovnti d∆ eijpei`n hJ ajnavpausi~ tw`n povnwn ejsti;n a[rtuma. Kai; oujk ejpi; tw`n zwv/wn movnwn tou`t∆ a]n i[doi ti~ gignovmenon, ajlla; kai; ejpi; tw`n ajyuvcwn: kai; ga;r ta; tovxa kai; ta;~ luvra~ ajnivemen, i{n∆ ejpitei`nai dunhqw`men. Kaqovlou de; swv/zetai sw`ma me;n ejndeiva/ kai; plhrwvsei, yuch; d∆ajnevsei kai; povnw/. “Axion d∆ ejpitima`n tw`n patevrwn ejnivoi~, oi{tine~ paidagwgoi`~ kai; didaskavloi~ ejpitrevyante~ tou;~ uiJei`~ aujtoi; th`~ touvtwn maqhvsew~ ou[t∆ aujtovptai givgnontai to; paravpan ou[t∆ aujthvkooi, plei`ston tou` devonto~ aJmartavnonte~.

Plutarco, De liberis educandis, 9b-d

Io ho già visto dei padri, per i quali l’eccessivo amore divenne causa di non amore. Che cosa intendo dire, per rendere più chiaro il mio discorso con un esempio? (Questi padri), smaniosi di vedere i loro figli primeggiare più rapidamente in tutti i campi, assegnano loro fatiche sproporzionate, non reggendo le quali (i figli) falliscono l’obiettivo, e inutilmente oppressi dalle fatiche non recepiscono l’insegnamento docilmente. Come infatti le piante crescono se sono irrigate con misura, ma soffocano per acque sovrabbondanti, nello stesso modo lo spirito si sviluppa grazie a fatiche ben dosate, ma è sommerso da quelle eccessive. Perciò, bisogna permettere ai ragazzi una pausa dalle continue fatiche, considerando che tutta la nostra esistenza risulta divisa tra attività e riposo. Per questo furono create non solo la veglia ma anche il sonno, non (solo) la guerra ma anche la pace, non (solo) la tempesta ma anche il sereno, non (solo) le attività lavorative ma anche le feste. Per dirla in breve, il riposo è il condimento delle fatiche. E si potrebbe constatare che questo vale non per i soli esseri animati, ma anche per quelli inanimati: infatti, allentiamo (le corde) degli archi e delle lire per poterle tendere. In generale, il corpo si mantiene sano con il bisogno e l’appagamento (di esso), lo spirito con il riposo e la fatica. È giusto inoltre biasimare alcuni padri che, affidando i figli a pedagoghi e maestri, non si curano affatto né di sorvegliare né di seguire di persona (non sono vigili né testimoni diretti della...) la loro educazione, venendo gravemente meno al loro dovere.

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6 Non è difficile che popoli governati dalla democrazia, anche in caso di guerra, trovino un accordo tra loro; è invece impossibile che ciò accada tra regimi oligarchici

Sessione ordinaria 1998 in oratoria, Demostene, versione...

ÔOra`te de; kajkei`n∆, w\ a[ndre~ ∆Aqhnai`oi, o{ti pollou;~ uJmei`~ polevmou~ pepolemhvkate kai; pro;~ dhmokrativa~ kai; pro;~ ojligarciva~. Kai; tou`to me;n i[ste kai; aujtoiv: ajll∆ uJpe;r w|n pro;~ eJkatevrou~ e[sq∆ uJmi`n oJ povlemo~, tou`t∆ i[sw~ uJmw`n oujdei;~ logivzetai. ÔUpe;r tivnwn ou\n ejstivn… Pro;~ me;n tou;~ dhvmou~ h] peri; tw`n ijdivwn ejgklhmavtwn, ouj dunhqevntwn dhmosiva/ dialuvsasqai tau`ta, h] peri; gh`~ mevrou~ h] o{rwn h] filonikiva~ h] th`~ hJgemoniva~: pro;~ de; ta;~ ojligarciva~ uJpe;r me;n touvtwn oujdenov~, uJpe;r de; th`~ politeiva~ kai; th`~ ejleuqeriva~: w{st∆ e[gwg∆ oujk a]n ojknhvsaim∆ eijpei`n ma`llon hJgei`sqai sumfevrein dhmokratoumevnou~ tou;~ ”Ellhna~ a{panta~ polemei`n uJmi`n h] ojligarcoumevnou~ fivlou~ ei\nai. Pro;~ me;n ga;r ejleuqevrou~ o[nta~ ouj calepw`~ a]n eijrhvnhn uJma`~ poihvsasqai nomivzw, oJpovte boulhqeivhte, pro;~ d∆ ojligarcoumevnou~ oujde; th;n filivan ajsfalh` nomivzw: ouj ga;r e[sq∆ o{pw~ ojlivgoi polloi`~ kai; zhtou`nte~ a[rcein toi`~ met∆ ijshgoriva~ zh`n hJ/rhmevnoi~ eu\noi gevnoint∆ a[n.

Ma considerate anche questo, o Ateniesi, che voi avete combattuto molte guerre sia contro democrazie, sia contro oligarchie. E questo (lo) sapete bene anche voi: ma (le ragioni) per i quali voi fate la guerra (c’è per voi la guerra) contro entrambi, forse nessuno di voi le prende in considerazione. Per quali (ragioni) dunque fate la guerra? Contro le democrazie (combattete) o per questioni private, non potendole dirimere con provvedimenti comuni, o per una porzione di territorio, o (per una questione) di confini, o per rivalità, o per la supremazia; contro le oligarchie invece (voi non combattete) per nessuno di questi motivi, ma in difesa della costituzione e della libertà. Cosicché io non esiterei a dire che ritengo sia più conveniente che vi facciano guerra tutti i Greci che sono sotto un regime democratico, piuttosto che siano amici (tutti i Greci che sono) sotto un regime oligarchico. Infatti penso che con (uomini) che sono liberi non difficilmente voi potreste fare la pace in qualunque momento voleste, mentre con chi vive sotto un regime oligarchico non ritengo sicura neppure l’amicizia: non è possibile infatti che degli oligarchici siano benevoli verso dei democratici e che uomini che cercano di dominare (siano benevoli) verso coloro che hanno scelto di vivere con parità di diritti.

7 Zeus si lamenta del suo lavoroSessione ordinaria 1999

∆All∆ ejpitribei`en oJpovsoi tw`n filosovfwn para; movnoi~ th;n eujdaimonivan fasi;n ei\nai toi`~ qeoi`~. Eij gou`n h[/desan oJpovsa tw`n ajnqrwvpwn e{neka pavscomen, oujk a]n hJma`~ tou` nevktaro~ h] th`~ ajmbrosiva~ ejmakavrizon ÔOmhvrw/ pisteuvsante~ ajndri; tuflw`/ kai; govhti, mavkara~ hJma`~ kalou`nti kai; ta; ejn oujranw`/ dihgoumevnw/, o}~ oujde; ta; ejn th`/ gh`/ kaqora`n ejduvnato… ∆Egw; de; aujto;~ oJ pavntwn basileu;~ kai; path;r o{sa~ me;n ajhdiva~ ajnevcomai, o{sa de; pravgmata e[cw pro;~ tosauvta~ frontivda~ dih/rhmevno~: w|/ prw`ta me;n ta; tw`n a[llwn qew`n e[rga ejpiskopei`n ajnagkai`on oJpovsoi ti hJmi`n sundiapravttousi th`~ ajrch`~, wJ~ mh; blakeuvwsin ejn aujtoi`~, e[peita… me dei` kai; tau`ta me;n poiei`n ajpoblevpein de; kata; to;n aujto;n crovnon aJpantacovse kai; pavnta ejpiskopei`n w{sper to;n ejn th`/ Nemeva/ boukovlon, tou;~ klevptonta~, tou;~ ejpiorkou`nta~, tou;~ quvonta~, ei[ ti~ e[speise, povqen hJ kni`sa kai; oJ kapno;~ ajnevrcetai, tiv~ nosw`n h] plevwn ejkavlesen, kai; to; pavntwn ejpiponwvtaton, uJf∆ e{na kairo;n e[n te ∆Olumpiva/ th`/ eJkatovmbh/ parei`nai kai; ejn Babulw`ni tou;~ polemou`nta~ ejpiskopei`n kai; ejn Gevtai~ calaza`n kai; ejn Aijqivoyin eujwcei`sqai.

Luciano, Bis accusatus, 1-2

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Il testo ministeriale introduceva, erroneamente, un punto fermo dopo ajnevcomai e ajnagkai`on.

Che vadano in malora quanti tra i filosofi sostengono che la felicità sta solo presso gli dèi! Se davvero sapessero quanti malanni soffriamo a causa degli uomini, non ci stimerebbero beati per il nettare e l’ambrosia dando retta a Omero, un cialtrone cieco, che ci definisce beati e che racconta quanto accade in cielo, lui che non era in grado di vedere neppure le cose sulla terra. [...] E io stesso, il re e il padre di tutte le cose, quante seccature sopporto, quanti impegni ho, diviso tra tante preoccupazioni: per prima cosa sono costretto a vigilare sulle azioni di tutti gli altri dèi che condividono con me il governo, perché non siano indolenti nell’eseguirle; poi, [...] bisogna che mi occupi di queste cose, ma nello stesso tempo, devo volgere lo sguardo contemporaneamente in ogni direzione e sorvegliare tutto quanto come il mandriano di Nemea: chi ruba, chi spergiura, chi sacrifica, se qualcuno ha versato libagioni, da dove sale (al cielo) il vapore (del grasso) e il fumo, chi mi ha invocato, essendo ammalato o trovandosi in mare, e – l’impegno più faticoso di tutti – nello stesso momento presenziare a un’ecatombe ad Olimpia, tenere d’occhio un combattimento a Babilonia, far grandinare nel paese dei Geti e partecipare a un banchetto nel paese degli Etiopi.

8 L’uomo cittadino del mondoSessione ordinaria 2001

Eij tau`tav ejstin ajlhqh` ta; peri; th`~ suggeneiva~ tou` qeou` kai; ajnqrwvpwn legovmena uJpo; tw`n filosovfwn, tiv a[llo ajpoleivpetai toi`~ ajnqrwvpoi~ h] to; tou` Swkravtou~, mhdevpote pro;~ to;n puqovmenon podapov~ ejstin eijpei`n o{ti ∆Aqhnai`o~ h] Korivnqio~, ajll∆ o{ti kovsmio~… Dia; tiv ga;r levgei~ ∆Aqhnai`on ei\nai seautovn, oujci; d∆ ejx ejkeivnh~ movnon th`~ gwniva~, eij~ h}n ejrrivfh gennhqevn sou to; swmavtion… “H dh`lon o{ti ajpo; tou` kuriwtevrou kai; perievconto~ ouj movnon aujth;n ejkeivnhn th;n gwnivan, ajlla; kai; o{lhn sou th;n oijkivan kai; aJplw`~ o{qen sou to; gevno~ tw`n progovnwn eij~ se; katelhvluqen ejnteu`qevn poqen kalei`~ seauto;n ∆Aqhnai`on kai; Korivnqion… ÔO toivnun th`/ dioikhvsei tou` kovsmou parhkolouqhkw;~ kai; memaqhkwv~, o{ti «to; mevgiston kai; kuriwvtaton kai; periektikwvtaton pavntwn tou`tov ejsti to; suvsthma to; ejx ajnqrwvpwn kai; qeou`, ajp∆ ejkeivnou de; ta; spevrmata katapevptwken oujk eij~ to;n patevra to;n ejmo;n movnon oujd∆ eij~ to;n pavppon, ajll∆ eij~ a{panta me;n ta; ejpi; gh`~ gennwvmenav te kai; fuovmena, prohgoumevnw~ d∆ eij~ ta; logikav, o{ti koinwnei`n movnon tau`ta pevfuken tw`/ qew`/ th`~ sunanastrofh`~ kata; to;n lovgon ejpipeplegmevna», dia; tiv mh; ei[ph/ ti~ auJto;n kovsmion…

Epitteto, Dissertazioni, 1, 9, 1-6

Se sono vere le cose dette dai filosofi riguardo la parentela tra Dio e gli uomini, che altro rimane agli uomini se non l’(esempio) di Socrate, (cioè) di non dire mai, a chi domandasse di dove fosse, che era Ateniese o Corinzio, ma cittadino del mondo? Perché infatti dici di essere Ateniese e non invece di quell’angolo soltanto in cui fu gettato il tuo misero corpo quando nacque? Certo è evidente che, dal (luogo) più importante, e che comprende non solo quello stesso angolo, ma anche tutta la tua famiglia, e insomma (il paese) da cui è discesa fino a te la stirpe dei (tuoi) avi, da quello, per caso, prendi il nome di Ateniese e Corinzio? Colui dunque che abbia studiato attentamente l’organizzazione dell’universo e che abbia imparato che “la più grande e la più autorevole e la più universale di tutte (le comunità) è quella tra uomini e Dio, e che da quello (= Dio) sono discesi i semi generativi, non solo in mio padre e nemmeno in mio nonno, ma in tutte le cose che sono generate e che crescono sulla terra, e principalmente negli esseri razionali, poiché solo questi partecipano per natura della relazione con Dio, essendo legati a lui attraverso la ragione”, perché non dovrebbe dire che è cittadino del mondo?

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9 Il lungo cammino dell’uomo verso la convivenza civileSessione ordinaria 2004

∆Epeidh; de; oJ a[nqrwpo~ qeiva~ metevsce moivra~, prw`ton me;n dia; th;n tou` qeou` suggevneian zwv/wn movnon qeou;~ ejnovmisen, kai; ejpeceivrei bwmouv~ te iJdruvesqai kai; ajgavlmata qew`n: e[peita fwnh;n kai; ojnovmata tacu; dihrqrwvsato th`/ tevcnh/, kai; oijkhvsei~ kai; ejsqh`ta~ kai; uJpodevsei~ kai; strwmna;~ kai; ta;~ ejk gh`~ trofa;~ hu{reto. Ou{tw dh; pareskeuasmevnoi kat∆ ajrca;~ a[nqrwpoi w[/koun sporavdhn, povlei~ de; oujk h\san: ajpwvllunto ou\n uJpo; tw`n qhrivwn dia; to; pantach`/ aujtw`n ajsqenevsteroi ei\nai, kai; hJ dhmiourgikh; tevcnh aujtoi`~ pro;~ me;n trofh;n iJkanh; bohqo;~ h\n, pro;~ de; to;n tw`n qhrivwn povlemon ejndehv~ < politikh;n ga;r tevcnhn ou[pw ei\con, h|~ mevro~ polemikh v< ejzhvtoun dh; aJqroivzesqai kai; swv/zesqai ktivzonte~ povlei~: o{t∆ ou\n aJqroisqei`en, hjdivkoun ajllhvlou~ a{te oujk e[conte~ th;n politikh;n tevcnhn, w{ste pavlin skedannuvmenoi diefqeivronto. Zeu;~ ou\n deivsa~ peri; tw`/ gevnei hJmw`n mh; ajpovloito pa`n, ÔErmh`n pevmpei a[gonta eij~ ajnqrwvpou~ aijdw` te kai; divkhn, i{n∆ ei\en povlewn kovsmoi te kai; desmoi; filiva~ sunagwgoiv.

Platone, Protagora, 322 a-c

Ma quando l’uomo fu partecipe di sorte divina, prima di tutto per la parentela col dio, unico tra gli esseri viventi, credette negli dei e iniziava ad erigere altari e statue di dei; poi, con l’arte, ben presto articolò suoni e parole e inventò abitazioni, abiti, calzari, giacigli e i nutrimenti (che si ricavano) dalla terra. E così provvisti, in principio, gli uomini vivevano qua e là e non c’erano città; venivano perciò uccisi dalle fiere, poiché erano più deboli di quelle in tutto e per tutto e la loro abilità pratica era, sì, un aiuto adeguato per il nutrimento, ma (era) insufficiente nella lotta contro le fiere – infatti, non avevano ancora l’arte politica di cui (è) parte (l’arte) bellica – pertanto, cercavano di riunirsi e di salvarsi fondando città; quando dunque si riunivano, si offendevano tra di loro perché non avevano l’arte politica, cosicché, di nuovo disperdendosi morivano. Zeus allora, temendo che la nostra stirpe andasse tutta distrutta, inviò (letteralmente: invia) Ermes perché portasse agli uomini rispetto e giustizia affinché fossero ordinamenti politici e vincoli di amicizia.

10 L’uomo deve essere padrone di se stessoSessione ordinaria 2006

Ouj dei` pantavpasin ejktapeinou`n oujde; katabavllein th;n fuvsin wJ~ mhde;n ijscuro;n mhde; movnimon mhd∆ uJpe;r th;n tuvchn e[cousan, ajlla; toujnantivon eijdovta~, o{ti mikrovn ejsti mevro~ tou` ajnqrwvpou to; saqro;n kai; to; ejpivkhron, w|/ devcetai th;n tuvchn, th`~ de; beltivono~ merivdo~ aujtoi; kratou`men, ejn h|/ ta; mevgista tw`n ajgaqw`n iJdruqevnta, dovxai te crhstai; kai; maqhvmata kai; lovgoi teleutw`nte~ eij~ ajrethvn, ajnafaivreton e[cousi th;n oujsivan kai; ajdiavfqoron, ajnekplhvktou~ pro;~ to; mevllon ei\nai kai; qarralevou~, pro;~ th;n tuvchn levgonta~, a} Swkravth~ dokw`n pro;~ tou;~ kathgovrou~ ~Anuton kai; Mevlhton levgein pro;~ tou;~ dikasta;~ e[legen, wJ~ ajpoktei`nai me;n “Anuto~ kai; Mevlhto~ duvnantai, blavyai d∆ ouj duvnantai Kai; ga;r hJ tuvch duvnatai novsw/ peribalei`n, ajfelevsqai crhvmata, diabalei`n pro;~ dh`mon h] tuvrannon: kako;n de; kai; deilo;n kai; tapeinovfrona kai; ajgennh` kai; fqonero;n ouj duvnatai poih`sai to;n ajgaqo;n kai; ajndrwvdh kai; megalovyucon oujde; parelevsqai th;n diavqesin, h|~ ajei; parouvsh~ plevon h] kubernhvtou pro;~ qavlattan o[felov~ ejsti pro;~ to;n bivon.

Plutarco, De tranquillitate animi, 475d-f

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Non si deve assolutamente sminuire né svilire la natura umana, come se non avesse nulla di forte né di stabile né al di sopra della sorte, ma, al contrario, sapendo che è una piccola parte dell’uomo quella debole e mortale con la quale egli è soggetto alla sorte, mentre noi stessi siamo padroni della parte migliore, nella quale i più grandi tra i beni edificati, rette opinioni, conoscenze e ragionamenti che trovano compimento nella virtù, hanno un’essenza che non può esser portata via né distrutta, si deve essere imperterriti di fronte al futuro e coraggiosi, dicendo di fronte alla sorte le cose che Socrate diceva ai giudici, mentre sembrava che le dicesse agli accusatori Anito e Meleto, cioè che Anito e Meleto potevano sì farlo condannare a morte, ma non potevano rovinarlo. E infatti la sorte può colpire con una malattia, strappare le ricchezze, calunniare presso il popolo o presso un tiranno; ma non può rendere malvagio e vile, di basso sentire, ignobile ed astioso chi è buono, virile e magnanimo, né togliergli quella disposizione d’animo, della cui presenza costante c’è più utilità per la vita che di un nocchiero per il mare.

11 Un codice etico per lo storicoSessione ordinaria 2008

Toiou`to~ ou\n moi oJ suggrafeu;~. “Estw a[fobo~, ajdevkasto~, ejleuvqero~, parrhsiva~ kai; ajlhqeiva~ fivlo~, wJ~ oJ kwmikov~ fhsi, ta; su`ka su`ka, th;n skavfhn de; skavfhn ojnomavswn, ouj mivsei oujde; filiva/ ti nevmwn oujde; feidovmeno~ h] ejlew`n h] aijscunovmeno~ h] duswpouvmeno~, i[so~ dikasthv~, eu[nou~ a{pasin a[cri tou` mh; qatevrw/ ti ajponei`mai plei`on tou` devonto~, xevno~ ejn toi`~ biblivoi~ kai; a[poli~, aujtovnomo~, ajbasivleuto~, ouj tiv tw`/de h] tw`/de dovxei logizovmeno~, ajlla; tiv pevpraktai levgwn. ÔO d∆ ou\n Qoukudivdh~ eu\ mavla tou`t∆ ejnomoqevthsen kai; dievkrinen ajreth;n kai; kakivan suggrafikhvn, oJrw`n mavlista qaumazovmenon to;n ÔHrovdoton a[cri tou` kai; Mouvsa~ klhqh`nai aujtou` ta; bibliva. Kth`mav te gavr fhsi ma`llon ej~ ajei; suggravfein h[per ej~ to; paro;n ajgwvnisma, kai; mh; to; muqw`de~ ajspavzesqai ajlla; th;n ajlhvqeian tw`n gegenhmevnwn ajpoleivpein toi`~ u{steron. Kai; ejpavgei to; crhvsimon kai; o} tevlo~ a[n ti~ eu\ fronw`n uJpovqoito iJstoriva~, wJ~ ei[ pote kai; au\qi~ ta; o{moia katalavboi, e[coien, fhsi, pro;~ ta; progegrammevna ajpoblevponte~ eu\ crh`sqai toi`~ ejn posiv.

Luciano, Quomodo historia conscribenda sit, 41-42

Tale sia dunque per me lo storico. Sia privo di timore, imparziale, libero, amante della libertà di parola e della verità; come dice il poeta comico, intenzionato a chiamare fichi i fichi e barca la barca, non giudicando per odio né per amicizia né trattenendosi o perché prova pietà o perché prova vergogna o perché è turbato; giudice equo, benevolo con tutti fino al punto di non assegnare a una delle due parti qualcosa di più del dovuto, straniero nei suoi libri e senza patria, autonomo, non soggetto ad un sovrano e uno che non calcola che cosa sembrerà bene a questo, ma che dice che cosa è stato fatto. Tucidide dunque regolò benissimo questo aspetto e distinse virtù e vizio storiografico, nonostante vedesse che Erodoto era ammirato, fino al punto che i suoi libri furono chiamati con i nomi delle Muse. (Tucidide) Dice infatti sia di scrivere la storia come possesso perenne più che come successo valido per il presente, sia di non abbracciare il favoloso ma di lasciare ai posteri la verità degli avvenimenti. E introduce come utilità anche quello scopo che un saggio proporrebbe per la storia, cioè che, se un giorno nuovamente accadessero cose simili (gli uomini) possano, dice, guardando ai fatti precedentemente narrati per iscritto, ben comportarsi nelle circostanze in cui si trovano (letteralmente: tra i piedi).

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12 Socrate e la politicaSessione ordinaria 2010

∆Egw; gavr, w\ a[ndre~ ∆Aqhnai`oi, a[llhn me;n ajrch;n oujdemivan pwvpote h\rxa ejn th`/ povlei, ejbouvleusa dev: kai; e[tucen hJmw`n hJ fulh; ∆Antioci;~ prutaneuvousa o{te uJmei`~ tou;~ devka strathgou;~ tou;~ oujk ajnelomevnou~ tou;~ ejk th`~ naumaciva~ ejbouleuvsasqe aJqrovou~ krivnein, paranovmw~, wJ~ ejn tw`/ uJstevrw/ crovnw/ pa`sin uJmi`n e[doxen. tovt˘ ejgw; movno~ tw`n prutavnewn hjnantiwvqhn uJmi`n mhde;n poiei`n para; tou;~ novmou~ kai; ejnantiva ejyhfisavmhn: kai; eJtoivmwn o[ntwn ejndeiknuvnai me kai; ajpavgein tw`n rJhtovrwn, kai; uJmw`n keleuovntwn kai; bowvntwn, meta; tou` novmou kai; tou` dikaivou w[/mhn ma`llovn me dei`n diakinduneuvein h] meq∆ uJmw`n genevsqai mh; divkaia bouleuomevnwn, fobhqevnta desmo;n h] qavnaton. Kai; tau`ta me;n h\n e[ti dhmokratoumevnh~ th`~ povlew~: ejpeidh; de; ojligarciva ejgevneto, oiJ triavkonta au\ metapemyavmenoiv me pevmpton aujto;n eij~ th;n qovlon prosevtaxan ajgagei`n ejk Salami`no~ Levonta to;n Salamivnion i{na ajpoqavnoi, oi|a dh; kai; a[lloi~ ejkei`noi polloi`~ polla; prosevtatton, boulovmenoi wJ~ pleivstou~ ajnaplh`sai aijtiw`n. Tovte mevntoi ejgw; ouj lovgw/ ajll∆ e[rgw/ au\ ejnedeixavmhn o{ti ejmoi; qanavtou me;n mevlei, eij mh; ajgroikovteron h\n eijpei`n, oujd˘ oJtiou`n, tou` de; mhde;n a[dikon mhd∆ ajnovsion ejrgavzesqai, touvtou de; to; pa`n mevlei. ∆Eme; ga;r ejkeivnh hJ ajrch; oujk ejxevplhxen, ou{tw~ ijscura; ou\sa, w{ste a[dikovn ti ejrgavsasqai, ajll∆ejpeidh; ejk th`~ qovlou ejxhvlqomen, oiJ me;n tevttare~ w[/conto eij~ Salami`na kai; h[gagon Levonta, ejgw; de; wj/covmhn ajpiw;n oi[kade.

Platone, Apologia, 32 b-d

«Infatti, o Ateniesi, io non ho mai esercitato nessuna carica in città, solo una volta sono stato membro della Bulé; e la mia tribù Antiochide aveva la pritania quando decideste di processare insieme – illegittimamente, come successivamente riconosceste tutti– i dieci strateghi che non avevano soccorso i naufraghi della battaglia navale. Allora, io solo fra i pritani mi opposi perché non faceste nulla contro la legge, e votai contro; mentre c’erano politicanti pronti a denunciarmi e a trascinarmi in giudizio e voi davate ordini e li incitavate, io pensavo che di dovere correre rischi in nome della legge e della giustizia, piuttosto che stare con voi, che deliberavate contro la legge, temendo la prigione o la morte. E questo accadde quando c’era ancora la democrazia; ma quando si affermò l’oligarchia, i trenta avendomi mandato come quinto al Tholos, ci ordinarono di andare a prelevare da Salamina Leonte di Salamina, per mandarlo a morte; e molti ordini del genere ne diedero a molti altri, per coinvolgere nei loro crimini più persone possibili. Ma anche allora provai, non a parole ma con i fatti, che della morte non m’importa – se non fosse troppo rozzo a dirsi – un bel niente, mentre non fare nulla di illegale né di empio, questo sì m’importa. E difatti quel governo, per quanto duro, non riuscì a spaventarmi tanto da farmi compiere un crimine, ma, quando uscimmo dal Tholos, gli altri quattro andarono a Salamina a prendere Leonte, mentre io me ne tornai a casa».

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13 Non il caso ma la finalità regna nelle opere della naturaSessione ordinaria 2012

Dei` mh; dusceraivnein paidikw`~ th;n peri; tw`n ajtimotevrwn zwv/wn ejpivskeyin. ∆En pa`si ga;r toi`~ fusikoi`~ e[nestiv ti qaumastovn: kai; kaqavper ÔHravkleito~ levgetai pro;~ tou;~ xevnou~ eijpei`n tou;~ boulomevnou~ ejntucei`n aujtw`/, oi} ejpeidh; prosiovnte~ ei\don aujto;n qerovmenon pro;~ tw`/ ijpnw`/ e[sthsan (ejkevleue ga;r aujtou;~ eijsievnai qarrou`nta~: ei\nai ga;r kai; ejntau`qa qeouv~), ou{tw kai; pro;~ th;n zhvthsin peri; eJkavstou tw`n zwv/wn prosievnai dei` mh; duswpouvmenon wJ~ ejn a{pasin o[nto~ tino;~ fusikou` kai; kalou`. To; ga;r mh; tucovntw~ ajll∆ e{nekav tino~ ejn toi`~ th`~ fuvsew~ e[rgoi~ ejsti; kai; mavlista: ou| d˘ e{neka sunevsthken h] gevgone tevlou~, th;n tou` kalou` cwvran ei[lhfen. Eij dev ti~ th;n peri; tw`n a[llwn zwv/wn qewrivan a[timon ei\nai nenovmike, to;n aujto;n trovpon oi[esqai crh; kai; peri; auJtou`: oujk e[sti ga;r a[neu pollh`~ duscereiva~ ijdei`n ejx w|n sunevsthke to; tw`n ajnqrwvpwn gevno~, oi|on ai|ma, savrke~, ojsta`, flevbe~ kai; ta; toiau`ta movria. ÔOmoivw~ te dei` nomivzein to;n peri; ouJtinosou`n tw`n morivwn h] tw`n skeuw`n dialegovmenon mh; peri; th`~ u{lh~ poiei`sqai th;n mnhvmhn, mhde; tauvth~ cavrin, ajlla; th`~ o{lh~ morfh`~, oi|on kai; peri; oijkiva~, ajlla; mh; plivnqwn kai; phlou` kai; xuvlwn: kai; to;n peri; fuvsew~ peri; th`~ sunqevsew~ kai; th`~ o{lh~ oujsiva~, ajlla; mh; peri; touvtwn a} mh; sumbaivnei cwrizovmenav pote th`~ oujsiva~ aujtw`n.

Aristotele, De partibus animalium, 645 a

Non si deve dunque disprezzare in modo infantile lo studio dei viventi più umili. In tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso: e come si dice che Eraclito parlò a quegli stranieri che desideravano rendergli visita, ma che una volta entrati, restarono immobili vedendo che si scaldava presso la stufa di cucina (li invitò a entrare senza esitare: anche lì, (disse) c’erano gli dei), così bisogna affrontare senza disgusto l’indagine su ciascuno degli animali, poiché in tutti v’è qualcosa di naturale e di bello. Non infatti il caso, ma la finalità è presente nelle opere della natura, e al massimo grado: e il fine in vista del quale esse sono state costituite o si sono formate, tiene il luogo del bello. Se poi qualcuno ha ritenuto che sia indegna l’osservazione degli altri animali, nello stesso modo deve giudicare anche quella di se stesso; non è infatti possibile vedere senza grande disgusto di che cosa sia costituito il genere umano: sangue, carni, ossa, vene, e simili parti. Similmente occorre ritenere che colui che discute intorno a una parte o a un oggetto qualsiasi non richiama l’attenzione sulla materia né discute in funzione di essa, bensì della forma totale: si parla, per esempio, di una casa, ma non dei mattoni, della calce, del legno; e allo stesso modo – colui che parla della natura – parla della sintesi e della totalità, non di quelle parti che non si trovano mai separate dalla essenza stessa di esse.

APPENDICE • Versioni d’esame

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