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Circolo universitario Genovese Sezione Fotografia 10 dicembre 2018 Un percorso storico tra grandi fotografi e generi fotografici Martina Massarente PhD Digital Humanities arte, spettacolo e tecnologie multimediali PhotoFactory Art [email protected] [email protected]

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Circolo universitario Genovese

Sezione Fotografia

10 dicembre 2018

Un percorso storico tra grandi fotografi e

generi fotografici

Martina Massarente

PhD Digital Humanities arte, spettacolo e tecnologie multimediali

PhotoFactory Art

[email protected][email protected]

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Protagonisti della critica d’arte e della fotografia

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Baumont Newhall, Storia della fotografia, Einaudi, 1984

Van Deren Coke: The painter and the photograph – From Delacroix to Warhol, 1972

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Ando Gilardi e la Storia sociale della fotografia

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Arturo Carlo Quintavalle e gli studi sulla fotografia in

MESSA A FUOCO

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Le moderne storie della fotografia

Claudio Marra: Fotografia e pittura nel Novecento

Una storia «senza combattimento»

Antonella Russo: Storia culturale della fotografia italiana

dal Neorealismo al Postmoderno

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Le riviste specializzate

Popular Photography e Popular Photography Italiana

Photo Italiana e Progresso Fotografico

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Fotocultura e Fotologia

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Fotostorica

Gli archivi della fotografia

AFT

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La fotografia e i rapporti con l’arte contemporanea: La Biennale di Venezia, 1972

Franco Vaccari: Esposizione in tempo reale

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Franco Vaccari

Esposizione in tempo reale

Biennale di Venezia 1972

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Daniela Palazzoli

Combattimento per un’immagine, Torino, 1973

Fotomedia, Milano, 1975

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Le grandi esposizioni internazionali

un punto sulla storia della fotografia

Arte e fotografia in dialogo, 1977

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Grandi esposizioni in Italia

Venezia ‘79 – La fotografia

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Guardare la storia della fotografia in relazione alla storia dell’arte

Si può parlare solo di grandi autori e generi fotografici?

Erik Kessels, installazione di fotografie, 2011

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Si può scrivere una storia degli errori fotografici?

E delle brutte fotografie?

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Si può scrivere una storia degli errori?

Henri Lartigue: scheda autore

Jaques – Henri Lartigue (1894-1986)

Figlio e nipote di inventori Lartigue è sempre stato un ottimo fotografo. Nel 1905 scatta una delle prime fotografie

nella quale è ritratta la sua collezione di automobiline. Le fotografa dando un taglio diagonale alla scena, ama gli

oggetti e li immortala conservando le immagini all’interno di album dedicati.

Fotografare gli serve per ricordare.

Ma sicuramente Lartigue è ricordato per la fotografia dal titolo «l’automobile» del 1913 nella quale immortala

un’automobile in corsa che appare sfuocata. Questa fotografia secondo quanto racconta Clement Chéroux nel suo

libro «L’errore fotografico» era ritenuta tecnicamente sbagliata, ma nei primi anni del Novecento, è stata considerata

vera e propria icona della storia della fotografia.

Immagini come queste sono diventate importanti per il contesto nelle quali sono nate e si sono diffuse. In tal caso è

stata fondamentale la presenza delle avanguardie storiche, in particolare del Futurismo.

Le immagini vengono rilette affrontando il contesto nel quale sono state prodotte e secondo una prospettiva storica.

E’ stato proprio Lartigue stesso a sostenere che le fotografie non vadano mai buttate via: una fotografia inizialmente

scartata e non rispondente a consolidati canoni estetici, è diventata, nel suo caso, non solo un’icona della storia della

fotografia, ma anche lo scatto preferito del suo autore.

Cambia nel tempo la percezione dell’errore e cambia nel tempo la considerazione delle immagini che hanno portato i

fotografi a diventare grandi autori.

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Si può scrivere una storia degli errori?

E delle brutte fotografie?

C. Chéroux, L’errore fotografico, Einaudi, Torino, 2009

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Perché un errore può trasformare

una fotografia «sbagliata» in una grande icona

Il Futurismo

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H. Lartigue fotografo di uno dei più famosi errori fotografici

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Quante storie di grandi autori si possono scrivere?

Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra.

Dalle origini della pittura alla Pop Art

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Una storia della fotografia «in ombra»

Alfred Stieglitz, Man Ray e André Kertèsz

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Una storia della fotografia «in ombra»

Alfred Stieglitz: scheda autore

Alfred Stieglitz (1864 – 1946)

La produzione di Alfred Stieglitz è legata perlopiù al lavoro svolto per la rivista «Camera Work» fondata dallo stesso

fotografo nel 1903.

Le sue prime fotografie sono di matrice naturalistico-sentimentale. Degli ultimi anni nel XIX secolo sono numerose

le immagini con scene di vita quotidiana.

Interessato e legato profondamente all’Europa, Stiglitz lavorerà in seguito all’interno del panorama fotografico e

artistico americano immortalando il profondo cambiamento sociale che l’America aveva vissuto nei primi anni del

Novecento.

La fotografia per Stieglitz diventa strumento privilegiato per dare vita a vere e proprie opere fotografiche; il fotografo

è infatti molto vicino al mondo dell’arte tanto da fondare, oltre alla rinomata rivista, anche una galleria, la 291 nella

quale ospita artisti delle avanguardie europee a partire dal 1906.

Se inizialmente Stiglietz è stato membro di eccellenza tra coloro che hanno fondato e diffuso il Pittorialismo, in

seguito, l’influenza delle avanguardie lo indurrà a modificare radicalmente i suoi interessi fotografici e artistici. Basti

pensare all’influenza esercitata su di lui da Paul Strand, giovane fotografo statunitense che ha fatto propria la

lezione del Cubismo e dal quale Stieglitz apprenderà lo stile della «Straight photography», o «fotografia diretta».

Come scrive Angela Madesani, a partire dal loro incontro, il lavoro di Strand sarà fondamentale per le ricerche di

Stieglitz. In particolare, tale influenza è evidente nel lavoro sugli Equivalenti (1923-1931): «stralci di cielo che

rispondono ad una necessità interiore, un’esperienza spirituale, equivalenti della mia visione di vita».

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Una storia della fotografia «in ombra»

Man Ray: scheda autore

Man Ray (Emanuel Radnitsky, 1890 – 1976)

Si avvicina alla fotografia tramite la galleria 291 di Alfred Stieglitz a New York.

Inizia ad utilizzare la macchina fotografia come strumento per riprodurre le sue opere scultoree collaborando, al

contempo, con riviste come «Dada New York» con Marcel Duchamp.

La produzione fotografica di maggior rilievo inizia negli anni Venti a Parigi, dove immortala, in splendidi ritratti, il

mondo degli artisti e degli intellettuali che orbitavano nella grande capitale francese.

In questi anni lavora anche nel campo della moda per il sarto Paul Poiret, già molto sensibile al mondo degli artisti.

Man Ray è però ricordato per una particolare invenzione fotografica: il Rayogramma, un’immagine realizzata tramite

la posa di un oggetto su carta fotografica preparata in modo che ne possa rimanere impressa la traccia. Come scrive

Madesani «il principio è quello portante della fotografia come indice, registrazione, traccia, che trova le sue radici nel

lavoro di Fox Talbot».

Nel 1930 circa Man Ray fa un’altra scoperta: la solarizzazione. Si tratta dell’inserimento della luce nella fase di

sviluppo della fotografia. Le immagini acquistano così un’estetica straniante.

La sua produzione fotografica influenza molto il cinema: evidente è l’utilizzo dei rayogrammi nel film Retour a la

raison del 1923.

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Una storia della fotografia «in ombra»

André Kèrtesz: scheda autore

André Kertész (1894-1985)

Andor (André) Kertész nasce a Budapest e una volta terminati gli studi entra a lavorare presso la Borsa dei

cereali, un posto che abbandona appena scoperta la passione per la fotografia.

Kertész è un fotografo puro, che si interessa alle persone e alle cose. I fatti che immortala nei suoi scatti non

sono mai costruiti, non hanno intenti drammaturgici o esagerazioni empatiche, ma sono fatti da cose semplici,

della vita di tutti i giorni.

Partito per la guerra nel 1914 con la sua macchina fotografica, le immagini realizzate sono semplici, senza la

pretesa di essere considerate un fotodocumentario della tragedia del conflitto mondiale, al contrario, sembrano

far parte di un diario personale.

Al fotografo interessa la vita quotidiana della sua famiglia: protagonisti degli scatti sono infatti la madre e i suoi

fratelli, ma anche la sua compagna di vita Elisabeth.

Dall’Ungheria, nel 1925 si trasferisce a Parigi città cosmopolita per eccellenza e ricca di fervore artistico.

I primi scatti rappresentano soggetti naturali, turistici e poetici. La grande protagonista è la città di Parigi in ogni

suo aspetto, è «un cronista del banale» (Madesani, 2005).

Nel 1936 lascia la grande città francese per dirigersi a New York dove prende servizio per l’agenzia Keystone. I

ventisei anni vissuti nella grande città americana sono stati ricchi di lavoro ma sono anche gli anni nei quali

cambia stile realizzando immagini dalla spiazzante distanza e obiettività verso i soggetti ritratti.

Dagli anni sessanta fino alla morte è stato coinvolto in diversi progetti di collaborazione per grandi mostre.

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Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra

Lee Frielander

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Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra

Lee Frielander: scheda autore

Lee Frielander (1934)

Si forma in fotografia all’Art Center di Los Angeles e tra i suoi riferimenti vi sono Eugène Atget, Walker Evans e

Robert Frank. Negli anni Cinquanta per vivere ritraeva musicisti per le cover dei dischi, si tratta di fotografie a colori

di grande formato caratterizzate da evidente impronta psicologica nelle quali i protagonisti sono colti nella loro

spontaneità espressiva e gestuale e collocati in spazi che richiamano fortemente la cultura americana.

Frielander insieme a Diane Arbus rappresentano i nodi centrali della nuova fotografia americana, lavorando sulla

fotografia di strada, sull’istantanea e la sua essenzialità.

Queste fotografie sono realizzate completamente prive di filtri morali e si interessano alle realtà emarginate.

Dagli anni sessanta Frielander cambia argomento concentrandosi sui monumenti americani; si tratta di un lavoro

che dura circa 10 anni e si conclude con la pubblicazione dal titolo «American Monument».

Nei decenni successivi Frielander si dediherà ad altre pubblicazioni tra le quali Self Portrait del 1970, Frielander

Nudes del 1977, Letters from the people degli anni Ottanta sviluppando un nuovo stile fotografico che punta a

guardare attraverso le cose. La fotografia diventa per lui uno strumento con il quale analizzare il mondo da un punto

di vista nuovo, che coinvolge la forza descrittiva dei dettagli.

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Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra

Lee Freelander e Vivian Maier

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Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra

Ugo Mulas

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Victor Stoichita, Breve storia dell’ombra

Ugo Mulas: scheda autore

Ugo Mulas (1928 – 1973)

«INDAGA LA NATURA E I PROCEDIMENTI DEL LINGUAGGIO FOTOGRAFICO NELLO SCARTO FRA LA

REALTA’ E LE OPPORTUNITA’ CREATIVE DELLA SUA RAPPRESENTAZIONE FOTOGRAFICA»

(D. Palazzoli, 1999, p. 68)

Inizialmente iscrittosi all’Università per studiare giurisprudenza, Mulas abbandona ben presto il corso di studi per

iscriversi all’Accademia di Brera.

Con Mario Dondero avvia una società e nei primi anni di lavoro si dedica alla fotografia di moda, alla fotografia

pubblicitaria e di reportage. Lavora infatti per alcune delle più importanti riviste tra le quali «Vogue» e «Domus».

Nonostante tali importanti collaborazioni, la passione di Mulas è sempre stata l’arte contemporanea dalle cui

influenze resta profondamente segnato.

Dagli anni sessanta infatti inizia a dedicarsi totalmente all’arte fotografando le edizioni della Biennale di Venezia

ed entrando in contatto con i grandi nomi dell’arte contemporanea. Sono gli anni nei quali compie importanti

viaggi in America. Una volta rientrato in Italia inizia la sua collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano.

Nel 1970 a seguito della malattia che lo costringe a casa, avvia una personale riflessione concettuale sulla

fotografia e sul suo significato dando vita al memorabile progetto dal titolo «Verifiche».

Le «Verifiche» sono un’analisi concettuale delle caratteristiche della fotografia e delle sue componenti.

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Storia della fotografia: dove e come nascono i grandi autori

E. Atget principale riferimento per il Surrealismo

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Grandi autori e avanguardie artistiche

Hans Bellmer, La poupée, 1935 – René Clair, Entr’Acte, 1924

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Che cosa è un documento?

Bill Brandt , Ear in Landscape, 1957; Belgravia London, 1951

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Che cosa è un documento?

Alexander Rodchenko, Fire escape, 1927

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Che cosa è un documento?

Berenice Abbott, Pike and Henry Streets, New York, 1935

Berenice Abbott, Gunsmith and Police Station, 1937

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Irving Penn, Truman Capote, 1948

Richard Avedon, Audrey Hepburn, 1956

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Irving Penn e Richard Avedon: schede autori

Irving Penn (1917)

Nato a Plainfield nel New Jersey si forma alla School of Industrial Art in Philadelphia . Conosce Alexey Brodovitch

e per sua intercessione inizia a lavorare per l’importante rivista di moda «Harper’s Bazaar». Nel 1943 fa

conoscenza con Alexander Liberman che lo assume come assistente presso la rivista «Vogue»; è in questa

occasione che si appassiona alla fotografia.

Penn è un fotografo che si muove in diversi ambiti spostandosi agilmente tra il ritratto, lo still life e la più generale

fotografia di moda. Il fotografo è molto conosciuto per i suoi ritratti di personaggi famosi caratterizzati da un

particolare studio dello spazio, spesso ristretto, tanto da far assumere al corpo dei modelli, posizioni strane e

quasi innaturali. Durante gli anni della seconda guerra mondiale le sue fotografie (soprattutto di soggetto

femminile) risentono del cambiamento e della trasformazione del costume diventando il simbolo della donna

emancipata. Negli anni Cinquanta si è dedicato alla fotografia di nudo e agli still life che comprendono oggetti,

cibi, pubblicità e altri oggetti trovati per strada.

Richard Avedon (1923-2004)

Fin da giovanissimo attivo nel settore commerciale della moda femminile per la ditta del padre, Avedon si

appassiona ben preso alla fotografia scegliendo come modella la sorella Louise. Studia arte con lo scultore Ossip

Zadkine. Nel 1949 inizia a svolgere incarichi pubblicitari importanti per la rivista «Theatre Arts» e in seguito per

«Life». Nei lavori personali si riconosce la sua vicinanza allo stile di Diane Arbus; dal formato 6x6 inizia a

fotografare negli anni Sessanta con una Rolleiflex di grande formato, 8x10 pollici. Il fotografo progetta ogni sua

immagine finalizzando la tecnica al suo scopo espressivo. Ritrae gli attori in strada ma spesso ricostruisce da sé

veri e propri set. Si è formato con lui Chuck Close, suo allievo a Yale negli anni Sessanta, un noto artista che ha

dato vita a ritratti di grande formato nei quali sono messi perfettamente a fuoco i particolari.

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Henri Cartier – Bresson,

Henri Cartier-Bresson (1908-2004)

Per Bresson, la Leica era il naturale prolungamento

del suo occhio. Nasce in una famiglia benestante e

inizia la sua carriera artistica come pittore a Parigi

per poi spostarsi all’Università di Cambridge. Dal

1931 abbandona la pittura per dedicarsi alla

fotografia. Inizia quindi a viaggiare per potersi

dedicare completamente alla fotografia. Ogni cosa

diventa per lui soggetto fotografico, ne coglie con

grande rispetto le emozioni per rivivere in ogni

luogo la realtà, la concretezza e la verità.

(Madesani, 2005, p. 159). La caratteristica

principale di Bresson è che affronta la fotografia

come la sua vita: sempre ironico e interessato.

Dopo aver trascorso tempi bui a seguito della

seconda guerra mondiale, nel 1945 riprende la sua

attività di fotografo freelance e nel 1947 è tra i

fondatori della famosa agenzia fotografica

Magnum. Dagli anni Cinquanta lavora per le più

grandi testate giornalistiche internazionali. Nel 1966

abbandona la Magnum in seguito alla morte di

alcuni compagni riducendo man mano la sua

attività fotografica. Negli ultimi anni torna a

dedicarsi alla pittura e al disegno.

Con i suoi scatti, Bresson ha saputo raccontare un

secolo della storia del mondo.

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Berenice Abbott, Newsstand , 32° and Third, 1936

Walker Evans, Penny Pictures Display, 1936

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Che cosa è un documento?

Walker Evans: scheda autore

Walker Evans (1903-1975)

Inizia la sua formazione come letterato alla Sorbona a Parigi, ma già durante il primo anno dell’università si rende

conto che la strada della letteratura non fa per lui e si trasferisce nuovamente negli Stati Uniti dove conosce la

fotografia di Paul Strand. All’inizio degli anni Trenta si dedica alle persone e alla vita quotidiana pur non

allontanandosi dalla fotografia di architettura; negli stessi anni infatti realizza l’importante lavoro sugli edifici

vittoriani.

A metà degli anni Trenta incontra Roy Stryker e viene chiamato nella squadra dei fotografi della Farm Security

Administration. Sono anni nei quali realizza alcune delle fotografie di maggior intensità e con le quali racconta le

difficoltà degli Stati Uniti in seguito alla Grande Depressione.

Negli anni Quaranta lascia la FSA e continua la sua attività fotografica per immortalare le contraddizioni della

società americana.

Inizia così il lavoro fotografico Labor Anonymus: ritratti di persone anonime riprese nei contesti della quotidianità

con una macchina di piccolo formato. In questo contesto la sua fotografia diventa documentaria, attento a tutto ciò

che «non è fotografico», tra i quali marciapiedi, detriti e motivi iconografici.

Importante da ricordare nella sua produzione è il lavoro del 1938 dal titolo American Photographs.

Solo negli ultimi anni della sua vita Evans si appassiona alla fotografia a colori; dal suo lavoro, Luigi Ghirri

riprenderà lo stile «del banale».

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Gordon Parks, Washington D.C.

Government charwoman, 1942

Walker Evans, Floyd and Lucille Burroughs, 1936

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Walker Evans, Auto parts shop, 1936

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Walker Evans

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Alcuni scatti di Dorothea Lange

ai tempi della Farm Security Administration

anni Trenta

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Dorothea Lange: scheda autore

Dorothea Lange (1895-1965)

Studia fotografie e inizia a lavorare e New York aprendo uno studio come ritrattista.

Fa ritorno alla Columbia University per studiare con Clarence H. White. I primi anni di ricerca fotografica sono

all’insegna del pittorialismo ma la fotografa è maggiormente conosciuta per la sua collaborazione con la FSA.

Dapprima con il marito Paul Taylor lavora per la California State Emergency Relief Administration e in seguito,

lavora con Roy Stryker.

Per comprendere la sua fotografia bisogna fare riferimento alla scuola pittorica tedesca della Nuova oggettività.

Le sue immagini sono sintetiche, persone e ambiente sono fuse insieme con grande armonia compositiva. Inoltre

le sue fotografie sono sempre accompagnate da didascalie esplicative, quasi fossero un necessario

completamento all’opera visiva.

Fotografa ritrattista, Lange è molto attenta alla dimensione umana e soprattutto alla posizione sociale ed

economica delle donne.

Le sue immagini hanno raccontato persone e fatti senza pregiudizi, senza filtri e convenzioni tecnico-visive.

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Edward Steichen, The Family of Man, 1959

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weegee weegee

They first murder, 1945

Wegee (Arthur Felling 1899 – 1968)

All’età di 10 anni lascia l’Austria insieme alla sua

famiglia per trasferirsi negli Stati Uniti.

Arrivato a New York si confronta con la

situazione americana degli immigrati e mentre

prosegue gli studi, lavora come strillone e

venditore fino a quando inizia a fotografare. La

passione per la fotografia lo accompagnerà per

tutta la vita. Nei suoi vent’anni di attività Wegee

fotografa la vita notturna di New York, i

bassifondi, i drammi, i crimini e gli abbandonati;

avvalendosi di un apparecchio di fortuna che

intercettava la radio della polizia è sempre stato il

primo a raggiungere i luoghi di fatali incidenti ed

efferati omicidi. Da questa sua modalità di

intervento è nato il soprannome Weegee: «tavola

per le sedute spiritiche». Tutte le sue fotografie

portano sul retro un particolare timbro «THE

FAMOUS WEEGEE», un personaggio fuori dagli

schemi e da ogni regola, ma anche misterioso e

a volte turbolento.

Ma ciò che rende Weegee un nome da ricordare

è non soltanto il fatto di aver registrato situazioni

di dolore e di malaffare, ma anche di aver dato

voce alla miseria attraverso scatti commoventi,

pur nella loro crudezza, tragicità e violenza.

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weegee weegee : scheda autore

Weegee (Arthur Felling 1899 – 1968)

All’età di 10 anni lascia l’Austria insieme alla sua famiglia per trasferirsi negli Stati Uniti.

Arrivato a New York si confronta con la situazione americana degli immigrati e mentre prosegue gli studi, lavora

come strillone e venditore fino a quando inizia a fotografare. La passione per la fotografia lo accompagnerà per tutta

la vita.

Nei suoi vent’anni di attività Weegee fotografa la vita notturna di New York, i bassifondi, i drammi, i crimini e gli

abbandonati; avvalendosi di un apparecchio di fortuna che intercettava la radio della polizia è sempre stato il primo

a raggiungere i luoghi di fatali incidenti ed efferati omicidi.

Da questa sua modalità di intervento è nato il soprannome Weegee: «tavola per le sedute spiritiche».

Tutte le sue fotografie portano sul retro un particolare timbro «THE FAMOUS WEEGEE», un personaggio fuori dagli

schemi e da ogni regola, ma anche misterioso e a volte turbolento.

Ma ciò che rende Weegee un nome da ricordare è non soltanto il fatto di aver registrato situazioni di dolore e di

malaffare, ma anche di aver dato voce alla miseria attraverso scatti commoventi, pur nella loro crudezza, tragicità e

violenza.

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Elliott Erwitt

USA, NY City, 1950 circa

Elliot Erwitt (Elio Romano Erwitz, 1928)

Erwitt si avvicina alla fotografia grazie a Cartier –

Bresson e capisce subito che per fotografare

bisogna avere un punto di vista personale sulle

cose. Vive per un certo periodo a New York e fa in

seguito ritorno in Europa dove negli anni

Cinquanta conosce Robert Capa che lo inserisce

all’interno della nota agenzia Magnum.

Il suo universo fotografico è pervaso dall’ironia,

sua vera cifra distintiva, grazie alla quale crea

situazioni stravaganti, divertenti ma al contempo

lucide e vere.

Ad esempio, nel corso degli anni, fotograferà i cani

mettendone in risalto gli aspetti più buffi, ma

anche sottolineando le stranezze del rapporto tra

l’animale e il suo padrone.

Le sue fotografie costituiscono, nella totalità del

suo operato, una grande «COMMEDIA UMANA».

Ma con lo stesso stile si occupa anche di

fotoreportage, il suo è un rapporto libero con il

mezzo il cui utilizzo deriva dalla contemplazione e

dall’ozio.

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Che cosa è un documento?

Robert Frank

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Robert Frank : scheda autore

Robert Frank (1924)

Inizia ad occuparsi di fotografia fin da giovanissimo traferendosi all’età di 23 anni a New York. Nella grande capitale

lavora come fotografo di moda per alcune tra le più importanti riviste di settore quali «Harper’s Bazaar», «Fortune», e

«Life».

Come per Richard Avedon è stato molto importante il suo rapporto con l’art director Alexey Brodovitch.

Nonostante abbia lavorato molto per il settore della moda, i suoi interessi sono diretti al sociale e alle trasformazioni

del mondo. I luoghi che visita sono animati spesso da situazioni dolorose e complesse ma realizzate in modo

semplice e senza eccessivi tecnicismi. Gli scatti sono costruiti secondo vedute prospettiche accentuate che spesso

restituiscono una sensazione si speranza.

Significativo è stato il lavoro fotografico sulla Parigi degli anni Cinquanta e quello dedicato a Londra per il quale

realizza fotografie dalla particolare atmosfera brumosa.

Tra i suoi riferimenti più evidenti si trova il fotografo Walker Evans, ma l’ispirazione arriva anche dal contesto

letterario, in particolare della Beat Generation. Frank ne ritrae infatti gli artisti con uno stile che influenzerà

particolarmente le visione personale di Diane Arbus.

Frank è inoltre ricordato per il viaggio negli Sati Uniti dove entra nella vita delle persone, nelle loro case, nei loro

luoghi di lavoro per osservare tutte le facce dell’America: il nazionalismo, la multirazzialità, la trasgressione e la

solitudine. (Madesani, 2005, p. 183).

Nel 1958 realizza il volume fotografico Les Americains a cura di Robert Delpire e pubblicato in America con la

prefazione di Jack Kerouac.

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Mirrors and Windows. American photography since 1960

a cura di John Szarkowsky

Definizione di nuove correnti di ricerca della fotografia

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Mirrors and Windows

Definizione di nuove correnti di ricerca della fotografia

Conoscere le grandi mostre per parlare di storia della fotografia

Importante esposizione organizzata nel 1978 da John Szarkowsky.

L’esposizione ha di fatto posto a confronto due tendenze della ricerca fotografica del periodo:

1) SPECCHIO DELL’ANIMA

2) FINESTRE SUL MONDO

Grazie all’individuazione di tali tendenze, la mostra ha dato origine ad un termine che si riferisce al

«realismo espressivo», un concetto composito che è tutt’oggi valido per molta fotografia

contemporanea.

All’interno di questo concetto Szarkowsky colloca la fotografia di Henri Cartier – Bresson, Dorothea

Lange e Walker Evans.

Secondo il curatore, ad esempio, emergono particolari differenze stilistiche e comunicative tra due noti

autori che avevano lavorato per la Farm Security Administration: nel libro «American Exodus» di

Dorothea Lange, le fotografie sono affiancate dalle didascalie con frasi di coloro che sono stati

rappresentati; a livello comunicativo questo schema appare difficile e un po’ scollegato, mentre, al

contrario, Walker Evans scatta le sue fotografie con l’occhio dell’artista: le persone fotografate sono

anonime e senza nome così come le loro abitazioni e i luoghi. Il suo diventa in questo modo uno stile

documentario poetico e non didascalico.

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Diane Arbus e le influenze delle neoavanguardie artistiche

Diane Arbus, Child with a toy hand granade in Central Park, 1962;

Young man with his girlfriend, 1971

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Diane Arbus: scheda autore

Diane Arbus (1923 – 1971)

Diane Arbus è una delle protagoniste di maggior importanza della storia della fotografia attorno al cui lavoro ruotano

numerose situazioni che coinvolgono anche il mondo dell’arte contemporanea ed è ancora oggi un importante

riferimento per la fotografia moderna.

Allieva di Lisette Model, dagli anni Cinquanta osserva le differenze tra gli esseri umani senza giudicarle, cogliendo

angosce ed eccentricità dei singoli individui.

Arbus era figlia di una famiglia della borghesia americana, ha seguito la sua passione per gli studi artistici

appassionandosi all’Espressionismo tedesco e alla fotografia tanto da aprire uno studio nel centro della città di New

York. Studia con Lisette Moderl e Brodovitch.

Partecipa alla grande mostra The family of Man, organizzata d Edward Steichen, MoMA, 1955.

I suoi scatti indagano la mostruosità del quotidiano rendendo usuale e quasi banale la diversità.

I soggetti della sua indagine sono omossessuali, ermafroditi e handicappati, soggetti ai «margini» ma con assolutà

naturalezza e normalità.

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FOTOGRAFIA E ANNI SESSANTA

le commistioni con la POP ART

Andy Warhol e Richard Hamilton

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La svolta degli anni Sessanta

L’arte concettuale

Joseph Kosuth «Una e Tre sedie» 1965

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Le Neo-avanguardie

Gina Pane , Robert Smithson e Richard Long

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La svolta degli anni Sessanta: le Neo-avanguardie

Urs Lüthi e Giulio Paolini

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La svolta degli anni Sessanta: le Neo-avanguardie

Vito Acconci, Following Piece, 1969

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La svolta degli anni Sessanta

l’influenza delle Neo-avanguardie

Diane Arbus Robert Mapplethorpe

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Travestitismo: il lavoro sull’identità

Yasumasa Morimura e Marcel Duchamp

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Travestitismo: il lavoro sull’identità

Yasumasa Morimura scheda autore

«AUTORITRATTO COME CONSUMISMO DI IDENTITA’ VARIEGATE, ESOTICHE E

MEDIATICHE» (D. Palazzoli, 1999, p. 98)

Yasumasa Morimura (1951) emerge come artista nella metà degli anni Ottanta rileggendo

fotograficamente i modelli della cultura occidentale. Nel suo lavoro fotografico è particolarmente

evidente l’aspetto kitsch che emerge attraverso la pratica dell’appropriazione di icone della cultura

occidentale.

In una prima serie lavora sul tema della storia dell’arte e sulla riconoscibilità dei grandi capolavori

come ad esempio nel lavoro dal titolo «Daughters of History».

Successivamente si concentra sui divi della musica e del cinema interpretando Madonna e

Michael Jackson all’interno della serie fotografica «Psychoborg».

Più di recente ha invece realizzato serie fotografiche sulle grandi attrici dal titolo «The Descent of

Actresses»

Come Cindy Sherman, anche Morymura è autentico protagonista dei suoi scatti per i quali studia

una serie di travestimenti ad hoc.

Il risultato è familiare e straniante al contempo, se ne coglie la componente glamour e kitsch che

definiscono un’attitudine post-moderna.

Oltre ai riferimenti alla tradizione culturale occidentale, sono evidenti elementi del teatro kabuki, la

riflessione sulla dialettica tra l’opera d’arte e la sua riproduzione. Le sue fotografie sono

volutamente ambigue e aprono alla riflessione.

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Travestitismo: il lavoro sull’identità

Cindy Sherman, Film Still 58, 1980

Cindy Sherman (1954)

«STEREOTIPI FEMMINILI, CONFRONTO COI MEDIA, POST

UMANO» (D. Palazzoli, 1999, 84).

Arrivata a New York ha studiato a Buffalo ed è diventata

celebre all’inizio degli anni Ottanta esponendo le sue fotografie

«Untitled Film Stills» presso la galleria Metro Pictures.

Il suo lavoro si concentra sugli stereotipi femminili e

sull’identità; rappresenta sé stessa citando fotografie

promozionali pubblicate sui rotocalchi scandalistici o per i B-

movie. In questi scatti interpreta diversi personaggi, anonimi e

del tutto stereotipati: la femme fatale, la casalinga, la donna in

carriera, la turista. Per la varietà dei temi trattati, queste

fotografie sono state molto criticate nell’ambiente artistico.

Dopo un lungo periodo di lavoro in bianco e nero, alla fine degli

anni Ottanta l’artista inizia a dedicarsi alla fotografia a colori ;

realizza così una nuova serie fotografica dal titolo «History

Portraits» (1988-1990) nella quale interpreta importanti

personaggi femminili del passato.

Del 1992 è invece il lavoro «Sex Pictures»; del 1994 sono le

«Horror Pictures» mentre dei tempi più recenti sono le «Mask

Pictures» nelle quali rappresenta personaggi grotteschi e dai

volti spaventosi.

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Come «leggere» Francesca Woodman

Possiamo inserirla in un «genere fotografico»?

Francesca Woodman, Untitled, 1979

Francesca Woodman (1958 – 1981)

Autodidatta di formazione, le sue fotografie tracciano uno

spazio privato, ma i temi che riguardano la sua ricerca

artistica «sono tanto ampi e vari quanto quelli di qualsiasi

fotografo». I continui rimandi alla storia dell’arte

accomunano questa autrice agli altri analizzati sino ad

ora. Come scrive Isabella Pedicini, le sue opere sono

come «un’ambigua tela» o meglio «uno specchio» nel

quale ognuno è portato a riversare liberamente i suoi

pensieri e le sue teorie.

Evidenti sono gli interessi per il mondo dell’arte classica

e della letteratura che Woodman sviluppa facendo

riferimento a influenze citate anche nel caso di altri

grandi autori: il surrealismo con tendenze polimorfe,

malinconiche e a tratti metafisiche.

Attraverso la fotografia, Francesca Woodman affronta il

suo essere «donna nel mondo», una ricerca che si

spinge ben oltre ciò che comunemente può essere

ricondotto al «femminismo» concepito nelle sue

accezioni prettamente politiche e sociali.

Emergono due tratti distintivi dell’autrice: IL TEMPO e LO

SPAZIO. Nei suoi scatti il corpo è sempre collocato

all’interno di un ambiente chiuso, uno spazio delimitato

dal bordo del formato 6x6, suo prediletto.

Muore suicida a 23 anni.

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Narrare con la fotografia: il caso di Duane Michals

Madame Schrodingers Cat, 1998

Duane Michals (1932)

Si forma all’Università di Denver dove decide di dedicarsi alla

fotografia.

Considerato precursore della Narrative Art, il suo nome è

stato scelto dalla madre per via del ragazzo di una famiglia

presso la quale lavorava. Il ragazzo però si suicida in giovane

età e il fatto condiziona inevitabilmente la vita di Michals.

E’ da questo momento che Michals decide di lavorare sul

tema della morte e della scomparsa, argomenti che sentirà

particolarmente vicini insieme alla sua ossessione per il

«doppio». Spesso infatti i suoi scatti sono caratterizzati da

volti sfuocati e dalla presenza di specchi o superfici riflettenti e

si articolano in complesse serie con sequenze di fotogrammi

corredate da didascalie.

La sua indagine è pervasa da una componente concettuale

particolarmente forte: il centro della riflessione rivela la ricerca

su sé stesso e sul senso più ampio dell’esistenza in

particolare relazione con la poesia.

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Influenze esercitate dall’arte sulle pratiche fotografiche contemporanee

René Magritte, La reproduction interdite , 1937; Les valeurs personelles, 1952

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Gordon Matta – Clark

Nuove definizioni per la fotografia

«Anarchitetture» (anni settanta)

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Simulacro

costruzione con effetto di realtà

James Casebere, Works 1975 - 2010

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Post-concettualismo italiano

«comportamentismo ambientale» David Bate

Gabriele Basilico, Bord de Mer, 1984-85

Gabriele Basilico (1944 - 2013)

Tra il 1963 e il 1973 frequenta la Facoltà di Architettura

(Politecnico di Milano). Dopo il Sessantotto il suo

interesse per l’architettura viene progressivamente

sostituito da quello per il sociale.

Frequentando la galleria milanese «Il Diaframma» di

Lanfranco Colombo ha avuto modo di ampliare il suo

orizzonte di conoscenza della fotografia artistica e

culturale. Da quel momento la fotografia è diventata la

sua professione; conosciuto per le sue fotografie urbane

e di città, la fotografia è per Basilico un’ «esperienza

artistica, anche e soprattutto nella sua funzione e

missione documentaria» e «ha a che fare inevitabilmente

con la bellezza, con un’esigenza visiva di interpretazione

formale, di una traduzione estetica del mondo»

(G.Basilico, Abitare la metropoli, Contrasto, 2010).

Ha partecipato nel 1984 all’esperienza di «Viaggio in

Italia» un progetto studiato da Arturo Carlo Quintavalle e

Luigi Ghirri, un passo fondamentale per l’evoluzione della

fotografia di paesaggio in Italia. Dopo questo progetto si

è infatti delineato un vero e proprio «movimento di

tendenza del paesaggio» (Madesani, 2008, p. 210)

Ha partecipato al progetto della MISSION

PHOTOGRAPHIQUE de la DATAR, primo lavoro di

committenza pubblica sul paesaggio, il più lungo di tutta

la storia della fotografia (1983-88). Mancato di recente,

era sposato con Giovanna Calvenzi (photoeditor)

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Post-concettualismo italiano

«comportamentismo ambientale»

Luigi Ghirri, Ruvo di Puglia, 1983

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Post-concettualismo italiano

«comportamentismo ambientale»

Luigi Ghirri: scheda autore

Luigi Ghirri (1943-1992)

Luigi Ghirri ha studiato da geometra ma è diventato una delle voci di maggior successo della storia della fotografia. è

stato un importante fotografo italiano, ma anche un organizzatore di eventi culturali e acuto studioso e teorico

dell’immagine. Fotografie, riflessioni e scritti costituiscono il suo lavoro di ricerca.

L’arte concettuale è un terreno fertile dal quale Ghirri estrapola importanti riferimenti per la sua ricerca personale; dal

1970 infatti, si dedica alla realizzazione di fotografie per gli artisti concettuali, sviluppando particolare attenzione per

la parte progettuale dell’opera d’arte più che per l’opera in sé.

Tra il 1971 e il 1973 Ghirri lavora al progetto «Paesaggi di cartone» dove i soggetti vengono fotografati dai manifesti,

un’analisi sulla comunicazione di massa e sul senso che le immagini assumono all’interno della società.

Il centro nevralgico dei suoi scatti è quindi la civiltà urbana dove tutto è copia di altro, un mero duplicato che

confonde realtà e finzione.

Dal 1973 si dedica alla grafica e dal 1976 approfondisce la ricerca sul paesaggio.

Nel 1979 crea un gruppo di fotografi per condurre una ricerca specifica sul paesaggio come preludio all’importante

lavoro «Viaggio in Italia» del 1984, una mostra pensata per la Pinacoteca di Bari nella quale il soggetto è il

paesaggio visto dai fotografi italiani.

Wim Wenders paragona le sue fotografie a quelle di Walker Evans con reminiscenze provenienti dal panorama

storico-artistico dei paesaggi pittorici di Bruegel e di Hopper, «un sentimento di appartenenza» e di «stare nel

mondo» dove si confonde il confine tra naturale e artificiale.

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Mimmo Jodice

Eden, Opera 19, 1995

Eden, 1995

Lavoro fotografico con testo di Germano Celant

Museo di Capodimonte, Napoli

Esposizione sulla natura morta

La fotografia riabilita un importante tema della pittura

del passato: la natura morta.

Il fotografo in questi scatti trasforma l’atmosfera di

tranquillità e piacere in metafora della violenza e

dell’aggressività del mondo moderno.

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Post-concettualismo italiano

«comportamentismo ambientale» D. Bate

Mimmo Jodice: scheda autore

Mimmo Jodice (1934)

Primo docente di fotografia in Italia dal 1970 all’Accademia di Napoli.

Mimmo Jodice è un autore che sfugge alle convenzionali ripartizioni linguistiche e classificazioni in generi

fotografici. Il suo lavoro di ricerca è trasversale; influenzato dalle arti visive degli anni Settanta, approfondisce in

seguito tematiche di impronta sociale.

La svolta della sua ricerca fotografica è nel 1980, quando realizza il progetto «Vedute di Napoli» nel quale elimina

quasi del tutto la componente temporale (Isabella Pedicini, La camera incantata, Contrasto)

Sono evidenti nel suo stile e nel suo linguaggio fotografico i riferimenti alla pittura metafisica e surrealista e in

generale, alla storia dell’arte, non per nulla Isabella Pedicini intitola il suo libro dedicato al noto maestro «La

camera incantata» con evidente richiamo al dipinto di Carlo Carrà, del 1917, autore particolarmente caro a

Jodice. Il fotografo sviluppa inoltre un ampio interesse per il paesaggio urbano e per i lavori edili che hanno

coinvolto le grandi città del mondo.

Uno dei temi più cari al fotografo napoletano è senza dubbio quello del mondo classico, indagato in relazione al

mare nel quale ricerca risonanze di forme e contrasti che legano l’acqua alle forme del passato.

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

Bernd e Hilla Becher

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

Bernd e Hilla Becher: scheda autori

«APPLICANO LA RICERCA CONCETTUALE ALL’ARCHITETTURA DELLE TIPOLOGIE

INDISTRIALI, INTESE COME FORME PLASTICHE, MA ANCHE COME SIMBOLI DELLA

TRASFORMAZIONE INDUSTRIALE DEL PAESAGGIO CONTEMPORANEO. SCELTA DEI

SOGGETTI, OGGETTIVITA’ DI RIPRESA, PRESENTAZIONE SERIALE DELLE VARIANTI

TIPOLOGICHE PARLANO DI ARCHIVIO E CATALOGO, MA ANCHE DI STILI CULTURALI» (D.

Palazzoli, 1999, p. 70).

Bernd e Hilla Becher sono stati fotografi molto influenti nel panorama della fotografia come arte

contemporanea e hanno giocato un ruolo importante nella definizione dell’estetica

«dell’impassibilità». Tra i loro allievi si annoverano: Andreas Gursky, Thomas Ruff, Thomas Struth,

Candida Höfer , Axel Hütte.

I coniugi sono conosciuti per aver realizzato un imponente lavoro fotografico che documenta, in

serie, (bianco e nero) architetture industriali, architetture popolari di epoca pre-nazista, torri

d’acqua, serbatori di benzina e pozzi di miniere.

La serie è iniziata nel 1957 ed è andata avanti nel tempo siano ai giorni nostri.

All’interno della serie ogni edificio viene fotografato secondo le medesime caratteristiche stilistiche

e metodologiche, con la stessa prospettiva, secondo appunti precisi. In questo modo, come

ricorda Cotton, si «è creata sistematicamente una tipologia».

Il lavoro è tutt’ora un imprescindibile riferimento per l’arte concettuale e fotografica.

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

Thomas Struth, Pergamon Museum IV, Berlin

Thomas Struth (1954)

Le sue ricerche fotografiche hanno come

caratteristica principale la consapevolezza della

costruzione delle immagini. Le sue fotografie

mostrano come l’osservatore sia messo nelle

condizione di guardare consapevolmente non solo

ai soggetti, che vengono descritti con grande

precisione «a tutto fuoco», ma anche alla tecnica

fotografica utilizzata.

Nei suoi scatti l’osservatore esterno non è

chiamato a partecipare emotivamente alla scena,

non gli chiede di identificarsi con coloro che sono

stati immortalati nello scatto, ma sono spinti a

stupirsi della costruzione fotografica

dell’immagine.

Il piacere di queste fotografie risiede

nell’osservarne le caratteristiche minuziose dei

dettagli in quanto parte finale del processo di

scatto.

Alcuni lavori fotografici hanno come scopo

l’indagine del comportamento culturale collettivo

(C. Cotton, 2010, p. 112-113).

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

«Estetica dell’impassibilità»

Estetica dell’impassibilità: «un genere di fotografia fredda, distaccata e perfettamente a fuoco»

(C. Cotton, 2010, p. 93.)

Definita anche «estetica germanica»: tale definizione si riferisce al fatto che la maggior parte dei

fotografi contemporanei accomunati da caratteristiche stilistiche simili si sono formati presso la

scuola di Bernd e Hilla Becher, presso la Kunstakademie di Düsseldorf in Germania.

Caratteristiche:

- scala monumentale

- nitidezza visiva

- Apparente distacco emotivo

- Precisione nella descrizione del soggetto

- Apparente neutralità

- Proporzioni epiche

Grande diffusione tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta soprattutto all’interno di

tematiche architettoniche e industriali.

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

Thomas Ruff

The unsetting visions, 2015

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

Thomas Ruff: scheda autore

Thomas Ruff (1958)

Nell’ambito della «fotografia dell’impassibilità» uno dei maggiori esponenti della scuola di Düsseldorf

è Thomas Ruff, che ha lavorato in particolare sul ritratto a partire dagli anni Ottanta.

Con le sue immagini sovra-dimensionate Ruff solleva un’interessante problematica: indaga e

sperimenta le modalità con le quali comprendiamo i soggetti in base alla conoscenza che abbiamo

di essi e di come ci aspettiamo di vederli rappresentati fotograficamente. (C. Cotton, 2010, p. 123)

Ruff è conosciuto per la produzione di ritratti a mezzo busto scattati ai suoi amici e conoscenti che

ricordano visivamente il formato fototessera. Queste immagini, una volta realizzate, vengono

stampate in grandi dimensioni e trasmettono all’osservatore un effetto di freddezza e di distanza.

L’artista fa scegliere ai soggetti lo sfondo sul quale desidera essere fotografato (per lo più si tratta di

sfondi monocromatici, ad esempio bianco e rosso) e gli chiede di rimanere inespressivo, totalmente

immobile di fronte alla fotocamera.

Si crea così un cortocircuito sensoriale tra ciò che ci aspettiamo di scoprire del carattere di una

persona dal suo aspetto e la sua inespressività, privata totalmente di inneschi visivi quali le

espressioni e i gesti.

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

Sandy Skoglund, A breeze at work, 1984

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Esempi di fotografia anni Ottanta e Novanta

Joel Peter Witkin

Face of a woman, 2004

Joel Peter – Witkin (1939)

Nato a Brooklyn, a New York, la sua situazione familiare è

sempre stata molto difficile: a causa di contrasti religiosi i suoi

genitori si sono separati quando era molto giovane. La sua

infanzia è stata particolarmente difficile e infelice

probabilmente anche caratterizzata da episodi macabri che

hanno influenzato da vicino la sua visione delle cose e del

mondo.

Le sue fotografie infatti appaiono estremamente inquietanti; si

tratta di un mondo di cose messe in scena, estremamente

macabre e perverse sulle quali domina la sua volontà, il suo

sentirsi creatore capace di superare le differenze. L’intento,

conscio e/o inconscio, è quello di creare un mondo unito,

seppure illusorio e allucinato, nel quale tutte le differenze si

annullano. Uno dei temi principali delle sue fotografie sono

inoltre i freaks, esseri deformi nei quali Witkin vede il connubio

tra il bene e il male. Nel 1975 si trasferisce nel Nuovo Messico

dove vive e lavora tutt’oggi. La sua ricerca prosegue nella

realizzazione di soggetti umani fragili e distrutti dal dolore dai

quali traspare vera e autentica sofferenza. L’esistenza alla

quale da vita il fotografo è sempre impenetrabile e

indescrivibile, simboli allucinati si esistenze distrutte che

negano la realtà.

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Jeff Wall

teorico dell’arte e della fotografia

post-modernismo critico: costruzione con effetto di realtà

Milk, 1984

Jeff Wall (1946)

Principale professionista della fotografia «messa in

scena» è Jeff Wall, artista canadese, storico e teorico

dell’arte che ha iniziato ad occuparsi di fotografia e

immagine verso la fine degli anni Ottanta.

Consapevole delle modalità con le quali si costruisce

una narrazione per immagini, le sue creazioni

rispondo alla tradizione del Tableau Vivant; si

individuano quindi nel suo modo di operare due macro

aree: da una parte, uno stile ricco ed elaborato dove

l’artificio fotografico viene palesato nella narrazione

fantastica delle sue storie; dall’altro le scene che

costruisce sono realizzate in modo tale da sembrare

casuali. Come ricorda Daniela Palazzoli, le sue

fotografie appaiono all’osservatore come delle

istantanee, ma sono in realtà l’esatto opposto.

L’artista collabora con un ampio staff di persone:

attori, scenografi, assistenti e tecnici necessari alla

realizzazione di un grande cast; in questo l’artista

assomiglia quindi ad un regista cinematografico che

crea la storia e ne dirige la realizzazione.

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Jeff Wall

Morning Cleaning, 1999

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Tendenze e generi fotografici del 2000

Gregory Crewdson

Brief Encounters

Gregory Crewdson (1962)

Nelle sue elaborate creazioni

fotografiche l’artista americano fa

emergere il forte legame che

intrattiene con il cinema, con le

fiabe, i miti moderni e il teatro, in

certi casi anche i ricordi personali

diventano fondamentali riferimenti.

Alla metà degli anni Novanta,

Crewdson inizia la sua produzione

di fotografie tableau vivant per le

quali allestisce modellini in scala

reale e organizza complessi set

assimilabili a quelli cinematografici.

Stranezze e inquietudini allucinate

permeano i suoi scatti,

esteticamente gradevoli e

minuziosamente preparati.

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Tendenze e generi fotografici del 2000

la preparazione dei set

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Le influenze provenienti dalla pittura

Edward Hopper

Nightwaks, 1942

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Hannah Starkey

senza titolo, 2004

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Tendenze e generi fotografici del 2000

Davide Monteleone

The April Thesis, 2017

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Tendenze e generi fotografici del 2000

Silvia Camporesi, Ofelia, 2004

«neo-pittorialismo»

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Tendenze e generi fotografici del 2000

Tom Hunter, The way Home, 2012

documento, cronaca e arte contemporanea

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Tendenze e generi fotografici del 2000

Gregory Crewdson, Twilight, 2004

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Tendenze e generi fotografici del 2000

Back Stage di «Twilight»

Gregory Crewdson

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Nuove storie della fotografia

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David Bate, La fotografia d’arte, Einaudi 2018

Rileggere la storia della fotografia a confronto con

le arti visive